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La malattia è davvero soltanto una disgrazia?


MALATTIA DISGRAZIA O GRAZIA?


Dott. G. Tirone


Specialista in Psicologia Psicoterapeuta



Quando sono stato invitato a partecipare al Convegno ho dovuto pensare ad un titolo da dare al mio intervento. Diverse sono state le ipotesi. La prima idea fu “L’agente terapeutico” intendendo ciò che nella terapia cura. Ma quale terapia? Titolo troppo vago! Sono uno psicoterapeuta e la mia esperienza è di terapia psicologica. Il pubblico al quale mi sarei rivolto non sarebbe stato di soli psicologi e psicoterapeuti. Diventò poi “Il cancro che cura”, titolo certo d’effetto, ma quanto sarebbe stato frainteso? Era forse mio obiettivo stupire con frasi d’effetto? Certo la cosa a dire il vero mi diverte, ma non mi parve il caso e tanto meno l’ambiente.


In buona sostanza però, che cosa ho intenzione di proporre al pubblico che ha avuto la costanza di attendere il mio dire che è l’ultimo ad essere esposto in una giornata di notevole impegno?


Desidero affermare nella maniera più chiara e sintetica possibile che il nostro soffrire è purtroppo, e meno male, di necessità per guarire e l’Amore ne è la Legge.


Affermazione che sollecita molti interrogativi.


Perché per guarire sarebbe necessario soffrire? Ne è forse il tributo? Guarigione che significa? Come può l’Amore essere anche il male?


In definitiva il titolo è diventato “Malattia disgrazia o grazia?”; accennare una risposta all’interrogativo è il contenuto di questa mia comunicazione.


Affrontare tale argomento richiede il parlar di me e della mia esperienza con il soffrire dell’uomo.


Dovessi dire con certezza la ragione che mi spinse, pur fra notevoli difficoltà e ostacoli a diventar psicoterapeuta, non saprei, certo è che non reggo il soffrire di chi amo e ho un intenso bisogno di conoscere chi e/o cosa sono, da dove vengo e dove vado.


Agli inizi degli anni ottanta, ormai già psicanalista e ipnositerapeuta, mi venne proposto dal Prof.Mossetti, allora primario di una divisione dell’Ospedale S.Anna, di occuparmi del GADOS


Il G.A.D.O.S. è un gruppo di volontariato, costituito da donne che hanno vissuto l'esperienza della malattia tumorale e che si propone di portare un aiuto alle donne operate di carcinoma alla mammella in relazione alle problematiche che inevitabilmente sorgono in conseguenza dell'intervento chirurgico e della presa di coscienza di malattia.


L’incarico che mi fu affidato fu quello di occuparmi della formazione psicologica delle volontarie e del sostegno psicologico delle donne malate che si rivolgevano all’Associazione con l'obiettivo di aiutare psicologicamente tali pazienti a comprendere la loro malattia nella relazione esistente tra la i loro vissuti e la malattia stessa, in modo che quest'ultima potesse essere affrontata nel modo più produttivo possibile e la vita potesse riprendere nel modo migliore.


A quei tempi era appena stato tradotto e pubblicato in Italia il testo dei coniugi Simonton che ormai da vent’anni dirigevano un centro per la cura del cancro nei pressi di Los Angeles, (- Star bene nuovamente - Nord Ovest Edizioni , 1981).


I Simonton sono considerati i pionieri del trattamento psicologico del cancro e quando hanno iniziato i loro lavori era difficile parlare di psicosomatica del cancro. Oggi si incontra ancora molta resistenza, ma l’oltranzismo organicista, anche in seguito ai risultati delle ricerche della psiconeuroimmunologia, e all’aumento di studiosi della psicologia, si è un po' ammorbidito.


Da allora molte sono state le esperienze di persone che ammalatisi di cancro hanno combattuto la malattia con il contributo anche di trattamenti psicologici. Alcune di loro hanno scritto libri e fondato associazioni per indicare ad altri il loro percorso. Per citarne alcuni: Martin Brofman, americano, dato per incurabile all’età di 34 anni per un cancro al midollo spinale, guarì senza nessun trattamento e mise a punto un metodo di “autoguarigione”; Claire Neur, affetta da melanoma all’occhio con ancora tre mesi da vivere fondò a Parigi nel 1989 un’associazione che ha per scopo aiutare le persone a superare crisi e difficoltà utilizzando al meglio le proprie risorse interiori; Niro Markoff Asistent malata di AIDS allo stato iniziale, tornò sieronegativa e fondò la “Share” Self Healing Aids - Related Experience.


I Simonton nel trattare malati di cancro utilizzano tecniche di visualizzazione che sono tecniche specifiche che impiegano la potenzialità della rappresentazione mentale che sappiamo essere caratteristica specifica dell’ipnosi.


Per me, ipnotista, fu, come si suol dire, un “invito a nozze”.


Iniziai un lavoro ipnositerapico, sia individuale sia in gruppo, con le pazienti che si rivolgevano al GADOS.


Non mi dilungo nel descrivere le esperienze fatte e propongo ciò che mi pare di certa rilevanza come risultato delle osservazioni.


Il lavoro protratto fino ad oggi ha fatto maturare in me la convinzione che tutte le donne che hanno sviluppato un carcinoma alla mammella abbiano sperimentato nella loro vita dinamiche emotive simili e che tali dinamiche abbiano contribuito al caratterizzarsi della malattia. Tutte le donne con le quali ho approfondito la ricerca hanno manifestato, prima della diagnosi di carcinoma, dei vissuti di grande difficoltà a sostenere la condizione di esistenza che stavano vivendo, con profonda sensazione di non farcela più fino a pensare, da parte di alcune, che sarebbe stato meglio morire piuttosto che continuare a vivere in quelle condizioni.


Desidererei non essere frainteso. Sto affermando che tutte le donne con le quali ho avuto occasione di approfondire l’indagine hanno vissuto, prima della malattia, una condizione di esistenza percepita come insostenibile e mi guardo però bene dal dire che tutte le persone che vivono una situazione del genere svilupperanno una malattia oncologica, come potrebbe essere erroneamente dedotto dal mio dire.


Inoltre sebbene tutte le donne con patologia oncologica alle quali mi sono relazionato in termini psicoterapeutici nei vent’anni trascorsi abbiano evidenziato tale dinamica, essendo in termini numerici non moltissime (qualche centinaio), non è ovviamente possibile alcuna generalizzazione. i


I dati che man mano rilevavo mi indussero a pensare al cancro come ad una sorta di processo autodistruttivo inconscio.


Già G.Groddeck, medico e psicanalista tedesco, aveva scritto del cancro come di una malattia di chi vuole morire perché la vita gli è diventata insopportabile.


Ma qualcosa strideva in tale criterio di lettura.


Se la deduzione fosse stata vera, caratterizzandosi la malattia come il soddisfacimento di un desiderio - bisogno, al momento della diagnosi di carcinoma la reazione del paziente avrebbe dovuto essere una reazione positiva, ma così non era. La totalità delle risposte emotive alla diagnosi di cancro erano e sono di angoscia e disperazione.


Inoltre dalle pazienti alle quali ebbi l’ardire di comunicare quelle mie prime osservazioni ricevetti soltanto incredulità e critiche rabbiose ii .


L’interpretazione psicosomatica del cancro, così proposta, demandava fra l’altro responsabilità della malattia all’io del soggetto colpevolizzandolo, e la colpevolizzazione ancor più ingigantiva se il significato della malattia assumeva una caratterizzazione morale, addirittura come punizione di “peccati” commessi.


Fu col trascorrere del tempo e l’aggiunta di nuove informazioni che compresi come tale lettura fosse limitata e sostanzialmente falsa.


Le osservazioni oggi mi inducono ad affermare che il cancro concepito come malanno che coinvolge la totalità della persona, e mi riferisco sempre solo al carcinoma mammario, non sia una sorta di suicidio o meglio di autodistruzione e annullamento di sé, seppur inconscio, ma bensì, oserei dire, un vero e proprio progetto di affermazione di sé attraverso la liberazione da condizioni psicofisicosociali profondamente sentite come impossibili da sostenere.


Accogliere tale affermazione è possibile unicamente se si fa lo sforzo di concepire l’essere umano come una totalità che nella sua unità si manifesta e si esprime a diverse dimensioni. Una dimensione è quella fisico -chimico- meccanica, quella che lo sviluppo della scienza ci permettere di conoscere sempre più nel dettaglio.


Una dimensione psicologica fatta di pensieri, sentimenti, emozioni e riferimenti di valore culturale e sociale.


Una dimensione più sottile e più intima delle precedenti ipotizzabile come una sorta di centralità di coscienza che ha in sé, tra l’altro, anche tutta la memoria inconscia, che per comodità, se la parola non suonasse purtroppo ancora poco scientifica per qualcuno, potremmo nominare “spirito”.


Queste dimensioni del nostro manifestarci tra di loro interagiscono influenzandosi vicendevolmente.


Prima di procedere e perché possa essere comprensibile ciò che andrò a dire del cancro e della malattia, devo dir ancora qualche parola sulla dimensione spirito.


Con spirito non intendo un concetto astratto, ma un preciso aspetto concreto del nostro esistere che desidererei non fosse confuso con il concetto religioso di anima. Ho detto di lui come di una sorta di centralità di coscienza; quella parte di noi che ci consente di affermare riferendoci a noi stessi: “Io sono e so di essere”. È una dimensione del sentire che trascende l’io psicologico razionale e la sua caratterizzazione in ruoli. È, nel mio pensiero, il nucleo potenziale dell’immaginazione creativa.


L’esempio che mi viene in mente in questo momento per dar concretezza d’esperienza alla realtà dello spirito come appena descritto, è il seguente: ognuno di noi ha un sentire di essere che gli fa affermare “Io” quando si riferisce a sé. “Io sono e so di essere”. Tale sentir di sé trascende tempo e spazio ed è sempre presente alla coscienza dell’Io psicologico nell’attimo in cui l’attenzione è rivolta con consapevolezza a sé. Ognuno di noi ha memoria di sé durante la propria infanzia; la nostra figura, il nostro corpo e il nostro bagaglio culturale e di esperienza relazionale, erano cosa certamente altra dall’attuale: eppure il sentir di essere è rimasto immodificato. Se da piccolo nel riflettermi nello specchio sapevo che quell’immagine ero io, ancor oggi se mi specchio so d’esser io a riflettermi, seppur le figure riflesse siano con evidenza diverse.


Torniamo a ciò che pare contraddittorio nell’esperienza del cancro. Contraddizione vi sarebbe se a interpretare la situazione fosse la medesima parte del soggetto, ma così non pare essere. Il nostro essere, come ho accennato, si esprime a diverse dimensioni.


Il sentire dello spirito è un sentire di presenza e di continuità che fa sì che in esso non vi sia percezione di morte bensì vissuto di eternità. Ciò non vale per l’io razionale che invece della morte, come disgregazione fisica, ne ha esperienza, sia diretta per la continua trasformazione e invecchiamento del corpo, sia indiretta per aver vissuto la morte di qualche persona conosciuta e cara.


Per lo spirito la morte è esperienza come lo può essere un evento qualsiasi dell’esistere, è trasformazione, transito, cambio di condizione, mentre per la mente, per l’io razionale, è disgregazione, annullamento, dolore, fine, che potrebbe soltanto essere alleviato da fedi religiose profondamente credute e partecipate.


Nel nostro esistere, queste diverse nostre modalità di esprimerci che nominiamo corpo, mente e spirito, fra di loro interagiscono, tute orientate al raggiungimento di loro specifici obiettivi, mete e finalità.


Nel procedere devo ancora ricordare, seppur sia cultura condivisa, che ogni evento manifestato ha una causa che lo genera e, se osservato nel suo esprimersi, ha una finalità verso la quale è orientato. Sarebbe come dire che ogni evento è mai privo di significato, compresa quindi la malattia.


L’accoglienza delle premesse espresse mi fornisce un criterio di lettura utile a conciliare ciò che all’inizio delle mie osservazioni pareva contraddittorio. Ciò però non consente ancora di prender posizione rispetto al quesito che ho posto nel titolo, ma apre una finestra particolare nel cercar di comprendere il significato della malattia e, in senso generale, del nostro soffrire nella dinamica autorealizzativa della Vita.


La sofferenza, il dolore e la malattia, nella mia ottica, corrispondono a quella condizione di non armonia e di disequilibrio fisico e/o psicologico nella quale viene a trovarsi globalmente l'organismo umano quando, nello scontro fra le sue potenzialità di sviluppo e di difesa e gli attacchi esterni od interni, questi ultimi hanno il sopravvento.


Tale condizione ha anche come finalità il segnalare all'uomo la sua condizione di disarmonia e si produce come stimolo al superamento della disarmonia stessa.


Sono fermamente convinto che sia proprio attraverso la consapevolezza del dolore e della sofferenza, che ognuno di noi può rendersi conto della disarmonia e del disequilibrio esistente in se stesso, ed è proprio tale esperienza, penosa e diffici­le da vivere, che ci comunica come, in quel momento, siamo orientati in una direzione per noi dannosa. È sempre la sofferenza che ci sollecita a cambiare direzione, a condizione che ne sap­piamo cogliere il messaggio.


Questa lettura del soffrire ne definisce la sua finalità costruttiva e positiva orientata al realizzarsi della Vita e afferma come tale processo di realizzazione sappia ricuperare quegli aspetti che ten­derebbero a deviarne il fine, attraverso sollecitazioni al cam­biamento


So come il mio dire solleciti perplessità. Ci si chiede sovente quale significato costruttivo possano avere malattie gravi o handicap che, in alcuni casi, limitano l'uomo fin dalla sua nascita, e il soffrire dei bambini e anche degli animali.


Se circoscriviamo l'esperienza dell'uomo nel limite temporale che va dalla sua comparsa nell'utero materno alla sua disgregazione fisica, allora la sofferenza, specialmente quella che non è riconducibile ad un evidente ignoranza del soggetto che la vive, risulta incomprensibile e inaccettabile. Tale condizione non potrebbe che sembrare la conseguenza di una Natura malvagia, perversa e ignorante che si alimenta di casualità, disordine e caos.


Diverso potrebbe essere il ruolo della sofferenza e del dolore nel contesto dell'idea che la Vita nella sua essenza è energia che tende alla sua armonica realizzazione, perciò eterna nella sua continua manifestazione e trasformazione. Vita che è coscienza, memoria e finalità come affermano alcune correnti della fisica. L’uomo è manifestazione di detta Vita, ha una sua coscienza, anch’essa energia pertanto eterna. Anche l’uomo mira alla sua auto­realizzazione attraverso il suo continuo divenire.


La sofferenza è, nella mia ottica, la conseguenza dell’ ignoranza e della libera volontà delle coscienze che possono anche scegliere comportamenti contrari alle Leggi immodificabili che regolano il Tutto. Il non tener conto di dette leggi ha come conseguenza il disordine e il disequilibrio, che per l’uomo è sofferenza e dolore.


Le avversità costringono la coscienza d’essere dell’uomo a pensare e a ricercare la causa della propria miseria e sofferenza ed è attraverso questo processo che la coscienza stessa scopre, nel tempo, l’unica strada che la può condurre all'armonia e al ben stare: il Valore Vero.


Ho detto all’inizio del mio intervento che il nostro soffrire è purtroppo e meno male, di necessità per guarire e l’Amore ne è la Legge.


Amore e Legge, richiedono un minimo di approfondimento.


Amore è parola dai molteplici significati fino ad affermare, da parte di coloro che hanno fede religiosa, che Dio è Amore.


Se voglio pensare a un Dio non costretto dalle diverse fedi religiose che ne propongono diversi, anche in contrasto fra loro, non posso che pensarLo in termini scientifici come Essere Assoluto, come la Totale Coscienza Cosmica, come Tutto ciò che è e potrebbe essere.


Se così penso a Dio il recente maremoto e le innumerevoli catastrofi e guerre sono pure espressione dell’Amore di Dio.


Affermazione impegnativa che suona scandalosa e dissacrante a molti, ma è proprio a ciò che devo accennare se desidero dare significato costruttivo e non colpevolizzante al soffrire nella materia.


Proviamo a lasciare momentaneamente da parte il significato romantico di amore sia per ciò che concerne il palpitar del cuore nel sentimento e sia per ciò che riguarda la tempesta ormonale, pur anch’esse manifestazioni dell’amore, che però se solo a quelle ci riferiamo, ne limitano il significato, e rifacciamoci ad una proposta di significato più ampio che può esserci utile a comprendere.


Lessi da qualche parte, e molto mi colpì allora, che AMORE potrebbe derivare da A – MORS ossia ciò che è senza morte. Ciò che è Vita, ciò che quindi è movimento, trasformazione, eternità. Tutto in definitiva, poiché la Vita quale essenza è tutto e in tutto.


Se Amore = Vita = Energia eterna esprimesse verità, come a me piace pensare, comprenderemmo come Tutto è Vita, sia nella immodificabilità delle Leggi dell’Equilibrio, dell’Armonia e dell’Ordine che ne sono il fondamento, sia nell’espressione ad ogni livello e in ogni dimensione del suo manifestarsi, compreso anche quanto noi per limite di conoscenza giudichiamo negativo, il male.


In tale ottica quindi il male che ruolo avrebbe?


Più volte nel mio dire e nei miei scritti è comparsa la parabola del figliol prodigo (quel figlio che per necessità di autonomia e libertà abbandona la casa del padre), ben nota in ambiente cattolico, che ben esprime in metafora il procedere dell’uomo sia singolo, sia nel collettivo, verso la consapevole matura realizzazione, direi, verso la guarigione del suo unico e grande male che è l’ignoranza.


Quando Adamo si cibò del frutto proibito illudendosi di farsi libero nel conoscere il bene e il male, ancora non sapeva delle tribolazioni che avrebbe sperimentato perché l’acquisire consapevolezza grazie al discernimento richiede esperienza e l’esperienza non è certo solo del bene, è anche quella del male, come ognuno di noi ben sa.


L’esistere, attraverso le innumerevoli possibilità di esperienza, fa dar significati ed enucleare valori.


Sarà la laboriosa, lunga e gravosa ricerca del Vero costantemente sollecitata da quel profondo senso di vuoto e di nostalgia che ognuno di noi qualche volta nella sua vita ha provato, che consentirà di discernere i valori veri e realizzativi dai valori illusori sostenitori del soffrire.


Sovente, nell’ignoranza che ci è compagna, allontanati dai Valori veri (nella metafora: dalla casa del Padre), idolatrando valori illusori, abbiamo creduto d’essere liberi scoprendo poi a nostre spese che il viver in funzione di falsi Valori ci fa vivere da schiavi.


L’esperienza farà scoprire che soltanto colui che vive in armonia con il Vero che dovrà essere svelato, scegliendolo, è in verità libero; e sebbene non manchi la difficoltà e il travaglio dell’esistere terreno, costui con tale scelta avrà donato serenità e gioia al suo essere.


Notevole è l’onere dell’esistenza, ma le Leggi della Vita, le leggi dell’Ordine e dell’Armonia sono inscritte in ogni essere e non vi è nessuno, sentii affermare, che abbia lasciato la “Casa del Padre senza avere in sé la mappa per farvi ritorno”. Ognuno ha la propria che per le nostre diversità d’esperienza non può che essere diversa dalle altre seppur indicante il medesimo tesoro.


La sofferenza è inferno, ed esso, che esiste dal momento in cui l’Adamo della Genesi si è fatto materia, è in ciascuno di noi e si concreta dal momento in cui la nostra centralità di coscienza (lo spirito) necessita, di potersi esprimere, di poter vivere il proprio educarsi, di poter vivere il proprio intimo sentire nella materia.


Ognuno di noi ha in sé anche l’inferno, come dimensione del sentire, e a ben osservare, è proprio quella dimensione che è di stimolo, di intimo stimolo, all’evoluzione.


Non è certamente la serenità, la gioia e il ben stare che qualche volta è in noi, a stimolarci e a invitarci ad evolvere; se ben osserviamo a spingerci, addirittura a costringerci al movimento, alla ricerca, è sicuramente la sofferenza, il male, che è inferno.


È il Lucifero (colui che porta luce)che in noi si esprime.


Come umanità abbiamo intrapreso una grande lotta, una lotta assolutamente incessante contro il male poiché abbiamo sempre rinnegato una parte di noi stessi e a quella parte abbiamo voluto fare la guerra. Quella parte deve soccombere. Non ci siamo mai veramente chiesti se quella parte che è il male con il suo agire non chieda altro che d’essere educata ed accolta, d'essere accolta come chi sente profondamente l'abbandono.


Quella parte che è oscura, sente la nostalgia ancor di più, poiché i nostri pensieri l'hanno fatta sentire abbandonata, ma il Padre della parabola non abbandona, non può abbandonare, poiché amorevole, anzi attende il ritorno del figlio.


Sappiamo che il figliol prodigo non rappresentava il figlio buono, bello, premuroso e accorto. Il figliol prodigo è andato per il mondo e ha fatto le cose più scellerate, ha vissuto le esperienze più varie, ha sperperato, ha offeso, ha rinnegato, ha oltraggiato oltre che goduto appieno. Egli rappresenta il male, il Lucifero che fa ritorno a casa, e sappiamo come il Padre lo accolse.


In quella parabola si può leggere tutta la storia dell’uomo, dell'umanità, della gioia e della sofferenza.


Ci siamo convinti, nel corso della storia, che il male, che il cosiddetto male sia da osteggiare, sia da offendere; ed è propriamente ciò che sostiene le guerre e le lotte dentro e fuori di noi, ma l'Amore non conosce tale modalità. L'Amore accoglie, l'Amore comprende e indi l'Amore redime, ed è ciò che dovremmo intimamente comprendere. Tale comprensione correggerebbe il nostro relazionarci alla sofferenza e alla malattia.


La malattia va accolta, compresa e superata, non combattuta fine a sé.


La Vita, l’Assoluto, l’Amore ci esprime comple­tamente liberi e non ci vuol costringere sul sentiero giusto; ci orienta, però, a tale sentiero attraverso le sofferenze e i dolori che ci procuriamo da noi stessi in seguito all’ignoranza.


In quest'ottica, la sofferenza non ha più un ruolo unicamente punitivo ma assume un ruolo marcatamente educativo.


È così che, di sofferenza in sofferenza, cresciamo in consa­pevolezza e in pazienza, e aumentiamo l'impegno rivolto al cambiamento di tutti quei nostri aspetti che sviluppano in noi disequilibrio e dolore.


Molto mi ha impressionato la testimonianza di Tiziano Terzani per la consapevolezza e la serenità acquisita rispetto alla sua malattia.


In una intervista fattagli qualche settimana prima di abbandonare la sua veste terrena, io dico sempre prima di “traslocare”, affermava: “Per me questo cancro è stata una grande benedizione perché ero ricaduto nella routine della vita e questo cancro mi ha salvato…..Mi sono messo a cercare la medicina anche su strade alternative. Strada facendo mi sono reso conto che in verità non volevo la med