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IO VEDO BIONICO
Come già per un articolo apparso su PANORAMA 16.12.2010 riporto un articolo dell'ESPRESSO 18.02.2011 che trattano gli esperimenti sulla visione bionica //benessere.guidone.it/2010/09/05/possibile-futuro-impiego-di-lenti-a-contatto-lac-bioniche-nella-cura-della-ipovisione/
di cui mi sto occupando personalmente come ricerca applicativa presso l'UNIVERSITA' DI BOLOGNA e presso la SECONDA UNIVERSITA' DI NAPOLI:
Io vedo bionico
Un dispositivo trasforma ciò che guardiamo in segnali e li trasmette al cervello. Che crea le immagini. Arriva Argus, la prima retina artificiale, capofila di una rivoluzione che parla italiano. Ne parla Agnese Codignola in un articolo sull’Espresso di questa settimana
ROMA - Luci e ombre. Sfumature di grigio. Sagome che diventano oggetti familiari. Linee scure su un pavimento che permettono di distinguere un marciapiede da una carreggiata. Così vedono le 34 persone quasi cieche cui sono state impiantate le prime retine artificiali. Magari non è una visione perfetta, come quella di un normovedente, ma per molti di loro, è letteralmente "la luce", e, nel concreto, la differenza tra una vita dipendente dagli altri e l'autosufficienza. Insomma, i risultati delle sperimentazioni confermano che oggi è realtà quello che fino a solo qualche mese fa era ritenuto un sogno: la visione artificiale, quella prodotta da un occhio che non ha bisogno della sua retina naturale per vedere. E lo strumento di questa rivoluzione è una retina artificiale che dovrebbe ricevere nell'arco di poche settimane il marchio europeo CE e in seguito l'approvazione definitiva da parte della Food and Drug Administration statunitense. In Italia sarà il Dipartimento di chirurgia oculistica dell'ospedale Sant'Anna di Pisa l'unico centro dove presto inizieranno i primi impianti di queste retine. Come spiega Stanislao Rizzo, che lo dirige: "La retina già approvata è la Argus II, prodotta dalla californiana Second Sight, ed è costituita da una minitelecamera montata su un paio di occhiali che trasmette wireless le immagini captate a un chip posto sopra la zona centrale della retina (il dispositivo è detto epiretinico)". Come mostra il disegno qui in alto, il chip trasforma le immagini ricevute in segnali elettrici che vengono trasferiti, tramite 60 elettrodi, al nervo ottico, il quale li invia alle zone del cervello deputate all'elaborazione degli stimoli visivi. "Siccome gli elettrodi sono 60, il risultato è un'immagine composta da poche unità (pixel) e dunque assai poco nitida, ma pur sempre straordinaria per chi ha perso la vista", aggiunge Rizzo. Che però annota: "Il marchingegno funziona solo se il nervo ottico è integro; per questo la retina al momento viene sperimentata solo su malati di retinitepigmentosa , una malattia genetica che causa la degenerazione del tessuto retinico fino alla cecità, ma che non danneggia il nervo ottico. Il risultato, secondo quanto riferito da tutti e 34 i pazienti, è soddisfacente e in linea con le attese".
Insomma, Argus II è la capofila, l'apripista. Con tutte le limitazioni che tecnologie mediche di questo tipo sempre hanno. Ma, mentre si attendono il via libera europeo e quello statunitense per l'apripista Argus II, tanto Second Sight quanto le altre aziende del settore stanno già lavorando a nuove retine, ancora più sofisticate. Dopo Argus II arriverà probabilmente Argus III, che dovrebbe prevedere l'inserimento non di decine, ma di centinaia di microelettrodi, che formeranno un'immagine assai più chiara. Le retine californiane dovranno battersela con i prodotti in via di definizione dalla Retina Implant, azienda tedesca con la quale lo stesso Rizzo sta collaborando, che sta predisponendo la sua retina, Alpha, già provata su tre pazienti, che ha caratteristiche diverse da Argus II. Chiarisce Rizzo: "Nella retina Alpha la minitelecamera non c'è più, perché è il chip (posto non sopra ma sotto la retina, e chiamato subretinico) che capta direttamente le immagini e le trasmette non a 60 ma a 1.500 elettrodi. Il risultato è quindi una visione simile a quella che si può avere con una telecamera non troppo sofisticata, ossia immensamente superiore rispetto ai 60 elettrodi di Argus". Se Alpha sarà il modello che vince la guerra delle retine artificiali lo dirà una sperimentazione su una quindicina di pazienti, alcuni dei quali italiani.
La competizione è per un settore che promette di essere vastissimo. Perché se oggi queste protesi sono ancora apparecchi buoni per situazioni molto specifiche, l'obiettivo è di estenderne l'uso anche a quei milioni di anziani che perdono la vista a causa di una maculopatia legata all'età. E gli analisti stimano che il business sarà del tutto analogo a quello degli apparecchi acustici. "La situazione attuale, del resto, ricorda quanto accaduto con gli impianti cocleari per la sordità profonda: nati più di 25 anni fa, all'inizio sembravano alquanto rozzi e destinati a pochissimi pazienti, anche a causa del costo astronomico, ma oggi vengono inseriti ogni anno in migliaia di sordi, e le loro performance continuano a migliorare, così come la loro accessibilità economica. Lo stesso, con ogni probabilità, succederà con le retine artificiali. Forse prima di quando si pensi", annota Rizzo.
La ricerca in Italia. A competere c'è in campo anche l'australiana Bionic Vision che punta sulla retina artificiale, ma con un dispositivo che conduce gli stimoli visivi dalla minitelecamera montata sugli occhiali direttamente a quei pochi neuroni rimasti in vita nella retina che sta morendo, di solito situati nella zona centrale. In questo caso, i primi test nell'uomo sono previsti per il 2013, ma l'impianto australiano sarebbe il primo a definirsi sul serio "Bionico", giacché potrebbe fare a meno degli elettrodi. Proprio come una delle alternative più avanzate alle retine artificiali, anch'essa in studio pure in Italia, la prima lente bionica. Spiega Sergio Scalinci Zaccaria, direttore del Centro per l'ipovisione dell'università di Bologna, che sta coordinando i test insieme a Duilio Siravo ( Meine Homepage ) e Mario Bifani della seconda università di Napoli: "Utilizza una vera e propria lente a contatto( //benessere.guidone.it/2010/09/05/possibile-futuro-impiego-di-lenti-a-contatto-lac-bioniche-nella-cura-della-ipovisione/ ) capace però di captare la luce e trasmetterla wireless a un chip posto, a seconda dei modelli, sul nervo ottico o direttamente nel cervello; la lente, al cui interno è posizionato un nanostrato di metallo (cioè un metallo alto quanto un millesimo del diametro di un capello), viene inserita in un occhio solo e bypassa il bulbo oculare, mandando i segnali direttamente sul nervo ottico o nelle aree cerebrali deputate all'elaborazione; per questo, se convalidata, potrebbe rappresentare una valida alternativa per tutti coloro che hanno una patologia che danneggia anche il nervo ottico". Anche in questo caso i test sono in fase avanzata e i primi volontari dovrebbero essere operati entro l'anno. Su un fronte analogo, uno studio tutto italiano si è appena meritato la pubblicazione su "Nature". Artefici della prima retina artificiale ad alta biocompatibilità (così l'hanno chiamata gli autori) sono infatti i ricercatori dei Dipartimenti di nanoscienze e neuroscienze dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Itt) di Genova insieme con i fisici del Politecnico di Milano, che hanno realizzato un materiale organico (semiconduttore) dotato della capacità di captare la luce e convertirla in impulso elettrico, imitando le cellule della retina, i coni e i bastoncelli. Con questo materiale i ricercatori hanno fabbricato una sorta di membrana soffice, biocompatibile e caratterizzata anche da proprietà fotovoltaiche, che la rendono autosufficiente dal punto di vista energetico; la membrana potrebbe quindi un giorno essere impiantata sotto la retina per vicariarne le caratteristiche senza avere problemi di rigetto né necessità di pile.
Possibile futuro impiego di Lenti a Contatto (LAC) Bioniche nella cura della Ipovisione
Effetto staminali. L'altro grande settore nel quale l'attività di ricerca è a dir poco effervescente è quello delle staminali, che potrebbero essere trapiantate per sostituire le cellule che via via muoiono. Esperimenti sono in corso in diversi laboratori; per esempio, all'università di Irvine, in California, il team che lavora sulle staminali embrionali è riuscito a ottenere un tessuto composto da otto strati di cellule, molto simile a una retina ai primi stadi di sviluppo, mentre i colleghi della Columbia hanno già effettuato i primi trapianti su modelli animali, anche in questo caso di cellule staminali embrionali. Un quarto dei topi trattati ha recuperato una visione parziale, anche se non sono mancati problemi come cicatrici, distacchi di retina e formazione di tumori benigni.
Anche sulle staminali l'Italia può dire la sua, sebbene qui non si lavori con le embrionali. Spiega Graziella Pellegrini, direttrice del Centro di medicina rigenerativa dell'università di Modena-Reggio Emilia, che da anni lavora con le staminali della cornea per eseguire i trapianti ed è pronta per partire con le sperimentazioni cliniche: "La nostra esperienza con le staminali ci ha portato a mettere a punto un protocollo per la cecità bilaterale, cioè per quei pazienti che non hanno più tessuto residuo indispensabile per i trapianti". Nello specifico, i ricercatori ricavano le cellule staminali dal cavo orale del paziente e le coltivano fino a quando non ottengono una membrana trasparente che mima molto da vicino le funzioni corneali e non causa la formazione di vasi sanguigni sulla cornea, fatto che rende difficoltosi i trapianti. Si tratta quindi di una tecnica poco invasiva e basata sull'utilizzo di staminali adulte autologhe, che non danno alcun problema di rigetto. I risultati ottenuti finora con le staminali sembrano convergere su un punto: la possibilità di rigenerare tessuto andato perso. Perché questo è ciò che si verifica, non solo nella retinite pigmentosa ma in diverse altre malattie degenerative dell'occhio e, in primo luogo, in quelle della macula tipiche dell'età. (Agnese Codignola- L'Espresso)
(19 febbraio 2011)
IN QUESTA SPERIMENTAZIONE CI STIAMO DEDICANDO TOTALMENTE VISTO I POSSIBILI FUTURI RISVOLTI PER LA CURA DI CERTE CECITA'
Prof.D.Siravo
siravo@supereva.it
//drsiravoduilio.beepworld.it
CELL:3385710585
di cui mi sto occupando personalmente come ricerca applicativa presso l'UNIVERSITA' DI BOLOGNA e presso la SECONDA UNIVERSITA' DI NAPOLI:
Io vedo bionico
Un dispositivo trasforma ciò che guardiamo in segnali e li trasmette al cervello. Che crea le immagini. Arriva Argus, la prima retina artificiale, capofila di una rivoluzione che parla italiano. Ne parla Agnese Codignola in un articolo sull’Espresso di questa settimana
ROMA - Luci e ombre. Sfumature di grigio. Sagome che diventano oggetti familiari. Linee scure su un pavimento che permettono di distinguere un marciapiede da una carreggiata. Così vedono le 34 persone quasi cieche cui sono state impiantate le prime retine artificiali. Magari non è una visione perfetta, come quella di un normovedente, ma per molti di loro, è letteralmente "la luce", e, nel concreto, la differenza tra una vita dipendente dagli altri e l'autosufficienza. Insomma, i risultati delle sperimentazioni confermano che oggi è realtà quello che fino a solo qualche mese fa era ritenuto un sogno: la visione artificiale, quella prodotta da un occhio che non ha bisogno della sua retina naturale per vedere. E lo strumento di questa rivoluzione è una retina artificiale che dovrebbe ricevere nell'arco di poche settimane il marchio europeo CE e in seguito l'approvazione definitiva da parte della Food and Drug Administration statunitense. In Italia sarà il Dipartimento di chirurgia oculistica dell'ospedale Sant'Anna di Pisa l'unico centro dove presto inizieranno i primi impianti di queste retine. Come spiega Stanislao Rizzo, che lo dirige: "La retina già approvata è la Argus II, prodotta dalla californiana Second Sight, ed è costituita da una minitelecamera montata su un paio di occhiali che trasmette wireless le immagini captate a un chip posto sopra la zona centrale della retina (il dispositivo è detto epiretinico)". Come mostra il disegno qui in alto, il chip trasforma le immagini ricevute in segnali elettrici che vengono trasferiti, tramite 60 elettrodi, al nervo ottico, il quale li invia alle zone del cervello deputate all'elaborazione degli stimoli visivi. "Siccome gli elettrodi sono 60, il risultato è un'immagine composta da poche unità (pixel) e dunque assai poco nitida, ma pur sempre straordinaria per chi ha perso la vista", aggiunge Rizzo. Che però annota: "Il marchingegno funziona solo se il nervo ottico è integro; per questo la retina al momento viene sperimentata solo su malati di retinitepigmentosa , una malattia genetica che causa la degenerazione del tessuto retinico fino alla cecità, ma che non danneggia il nervo ottico. Il risultato, secondo quanto riferito da tutti e 34 i pazienti, è soddisfacente e in linea con le attese".
Insomma, Argus II è la capofila, l'apripista. Con tutte le limitazioni che tecnologie mediche di questo tipo sempre hanno. Ma, mentre si attendono il via libera europeo e quello statunitense per l'apripista Argus II, tanto Second Sight quanto le altre aziende del settore stanno già lavorando a nuove retine, ancora più sofisticate. Dopo Argus II arriverà probabilmente Argus III, che dovrebbe prevedere l'inserimento non di decine, ma di centinaia di microelettrodi, che formeranno un'immagine assai più chiara. Le retine californiane dovranno battersela con i prodotti in via di definizione dalla Retina Implant, azienda tedesca con la quale lo stesso Rizzo sta collaborando, che sta predisponendo la sua retina, Alpha, già provata su tre pazienti, che ha caratteristiche diverse da Argus II. Chiarisce Rizzo: "Nella retina Alpha la minitelecamera non c'è più, perché è il chip (posto non sopra ma sotto la retina, e chiamato subretinico) che capta direttamente le immagini e le trasmette non a 60 ma a 1.500 elettrodi. Il risultato è quindi una visione simile a quella che si può avere con una telecamera non troppo sofisticata, ossia immensamente superiore rispetto ai 60 elettrodi di Argus". Se Alpha sarà il modello che vince la guerra delle retine artificiali lo dirà una sperimentazione su una quindicina di pazienti, alcuni dei quali italiani.
La competizione è per un settore che promette di essere vastissimo. Perché se oggi queste protesi sono ancora apparecchi buoni per situazioni molto specifiche, l'obiettivo è di estenderne l'uso anche a quei milioni di anziani che perdono la vista a causa di una maculopatia legata all'età. E gli analisti stimano che il business sarà del tutto analogo a quello degli apparecchi acustici. "La situazione attuale, del resto, ricorda quanto accaduto con gli impianti cocleari per la sordità profonda: nati più di 25 anni fa, all'inizio sembravano alquanto rozzi e destinati a pochissimi pazienti, anche a causa del costo astronomico, ma oggi vengono inseriti ogni anno in migliaia di sordi, e le loro performance continuano a migliorare, così come la loro accessibilità economica. Lo stesso, con ogni probabilità, succederà con le retine artificiali. Forse prima di quando si pensi", annota Rizzo.
La ricerca in Italia. A competere c'è in campo anche l'australiana Bionic Vision che punta sulla retina artificiale, ma con un dispositivo che conduce gli stimoli visivi dalla minitelecamera montata sugli occhiali direttamente a quei pochi neuroni rimasti in vita nella retina che sta morendo, di solito situati nella zona centrale. In questo caso, i primi test nell'uomo sono previsti per il 2013, ma l'impianto australiano sarebbe il primo a definirsi sul serio "Bionico", giacché potrebbe fare a meno degli elettrodi. Proprio come una delle alternative più avanzate alle retine artificiali, anch'essa in studio pure in Italia, la prima lente bionica. Spiega Sergio Scalinci Zaccaria, direttore del Centro per l'ipovisione dell'università di Bologna, che sta coordinando i test insieme a Duilio Siravo ( Meine Homepage ) e Mario Bifani della seconda università di Napoli: "Utilizza una vera e propria lente a contatto( //benessere.guidone.it/2010/09/05/possibile-futuro-impiego-di-lenti-a-contatto-lac-bioniche-nella-cura-della-ipovisione/ ) capace però di captare la luce e trasmetterla wireless a un chip posto, a seconda dei modelli, sul nervo ottico o direttamente nel cervello; la lente, al cui interno è posizionato un nanostrato di metallo (cioè un metallo alto quanto un millesimo del diametro di un capello), viene inserita in un occhio solo e bypassa il bulbo oculare, mandando i segnali direttamente sul nervo ottico o nelle aree cerebrali deputate all'elaborazione; per questo, se convalidata, potrebbe rappresentare una valida alternativa per tutti coloro che hanno una patologia che danneggia anche il nervo ottico". Anche in questo caso i test sono in fase avanzata e i primi volontari dovrebbero essere operati entro l'anno. Su un fronte analogo, uno studio tutto italiano si è appena meritato la pubblicazione su "Nature". Artefici della prima retina artificiale ad alta biocompatibilità (così l'hanno chiamata gli autori) sono infatti i ricercatori dei Dipartimenti di nanoscienze e neuroscienze dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Itt) di Genova insieme con i fisici del Politecnico di Milano, che hanno realizzato un materiale organico (semiconduttore) dotato della capacità di captare la luce e convertirla in impulso elettrico, imitando le cellule della retina, i coni e i bastoncelli. Con questo materiale i ricercatori hanno fabbricato una sorta di membrana soffice, biocompatibile e caratterizzata anche da proprietà fotovoltaiche, che la rendono autosufficiente dal punto di vista energetico; la membrana potrebbe quindi un giorno essere impiantata sotto la retina per vicariarne le caratteristiche senza avere problemi di rigetto né necessità di pile.
Possibile futuro impiego di Lenti a Contatto (LAC) Bioniche nella cura della Ipovisione
Effetto staminali. L'altro grande settore nel quale l'attività di ricerca è a dir poco effervescente è quello delle staminali, che potrebbero essere trapiantate per sostituire le cellule che via via muoiono. Esperimenti sono in corso in diversi laboratori; per esempio, all'università di Irvine, in California, il team che lavora sulle staminali embrionali è riuscito a ottenere un tessuto composto da otto strati di cellule, molto simile a una retina ai primi stadi di sviluppo, mentre i colleghi della Columbia hanno già effettuato i primi trapianti su modelli animali, anche in questo caso di cellule staminali embrionali. Un quarto dei topi trattati ha recuperato una visione parziale, anche se non sono mancati problemi come cicatrici, distacchi di retina e formazione di tumori benigni.
Anche sulle staminali l'Italia può dire la sua, sebbene qui non si lavori con le embrionali. Spiega Graziella Pellegrini, direttrice del Centro di medicina rigenerativa dell'università di Modena-Reggio Emilia, che da anni lavora con le staminali della cornea per eseguire i trapianti ed è pronta per partire con le sperimentazioni cliniche: "La nostra esperienza con le staminali ci ha portato a mettere a punto un protocollo per la cecità bilaterale, cioè per quei pazienti che non hanno più tessuto residuo indispensabile per i trapianti". Nello specifico, i ricercatori ricavano le cellule staminali dal cavo orale del paziente e le coltivano fino a quando non ottengono una membrana trasparente che mima molto da vicino le funzioni corneali e non causa la formazione di vasi sanguigni sulla cornea, fatto che rende difficoltosi i trapianti. Si tratta quindi di una tecnica poco invasiva e basata sull'utilizzo di staminali adulte autologhe, che non danno alcun problema di rigetto. I risultati ottenuti finora con le staminali sembrano convergere su un punto: la possibilità di rigenerare tessuto andato perso. Perché questo è ciò che si verifica, non solo nella retinite pigmentosa ma in diverse altre malattie degenerative dell'occhio e, in primo luogo, in quelle della macula tipiche dell'età. (Agnese Codignola- L'Espresso)
(19 febbraio 2011)
IN QUESTA SPERIMENTAZIONE CI STIAMO DEDICANDO TOTALMENTE VISTO I POSSIBILI FUTURI RISVOLTI PER LA CURA DI CERTE CECITA'
Prof.D.Siravo
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