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Nell'esternalizzazione delle fasi di produzione applicabile il principio del rischio d'impresa
Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto Numero 6 del 06/02/2010 Pagina 38
Il datore di lavoro è tenuto a informarsi presso i terzi delle difficoltà inerenti alle lavorazioni con l'attività dei propri dipendenti e a impartire a questi ultimi tutte le opportune contromisure In caso di spostamento del lavoratore è necessario il consenso di quest'ultimo in presenza di qualsiasi variazione dei compiti assegnati, anche se ricompresi in uno stesso livello professionale e retributivo Il dipendente adibito a incarichi superiori, cessato il distacco, riacquista categoria e qualifica anteriori senza che ciò configuri un declassamento vietato, essendo la promozione correlata all'autonomo rapporto ormai venuto meno
il commento di MAURIZIO TATARELLI
I requisiti della figura
Il comando o distacco di un lavoratore disposto dal datore di lavoro presso altro soggetto, destinatario delle prestazioni lavorative, è configurabile quando sussiste l'interesse del datore di lavoro a che il lavoratore presti la propria opera presso il soggetto distaccatario, la temporaneità del distacco (intesa non come brevità, ma come «non definitività») e la permanenza, in capo al datore di lavoro distaccante, sia del potere direttivo (eventualmente delegabile al distaccatario), sia del potere di determinare la cessazione del distacco; ai fini della legittimità del distacco non vi è, invece, necessità né di una previsione contrattuale che lo autorizzi, né dell'assenso preventivo del lavoratore interessato, che esegue la sua prestazione altrove in osservanza del dovere di obbedienza di cui all'articolo 2104 del codice civile. Sezione Lavoro, sentenza 7 novembre 2000 n. 14458
Quando può scattare la promozione
Lavoro - Lavoro subordinato - Categorie e qualifiche dei prestatori di lavoro - Mansioni - Comandi e distacchi - Prestazioni rese in favore di organismi promozionali dell'attività assistenziale in azienda - Diritto alla qualifica superiore in relazione alle nuove mansioni - Configurabilità - Condizioni. (Cc, articolo 2103)
Le prestazioni che il lavoratore - pur restando alle dipendenze del proprio datore di lavoro - renda in favore di organismi promozionali dell'attività assistenziale in azienda, possono far sorgere il diritto alla qualifica corrispondente alle mansioni superiori, che gli sono state assegnate dal terzo beneficiario delle prestazioni lavorative, ove ricorrano, nella concreta fattispecie, i requisiti per la configurazione di un distacco (interesse, del datore di lavoro distaccante, a che il proprio dipendente presti l'opera a favore del terzo; temporaneità del distacco, intesa nel senso che questo duri solo per il tempo in cui persista siffatto interesse) e le mansioni rese a favore del terzo risultino omogenee, rispetto a quelle precedentemente rese al datore di lavoro e, più in generale, presentino i requisiti richiesti dalla contrattazione collettiva ai fini dell'inquadramento del prestatore nella qualifica superiore pretesa.Sezione Lavoro, sentenza 20 giugno 1990 n. 6181 Il datore di lavoro risponde civilmente dei fatti illeciti commessi, nel disimpegno della prestazione, dal lavoratore distaccato presso altra organizzazione produttiva, in forza del principio del rischio d'impresa cui è ispirato l'articolo 2049 del Cc. È l'importante principio reso dalla Cassazione con la sentenza n. 215 del 2010.
La fattispecie decisa - L'Inail, dopo aver indennizzato un lavoratore vittima di infortunio in quanto colpito dal braccio oscillante di una gru, ha esercitato l'azione di rivalsa contro i soggetti responsabili del sinistro, accolta dalla Corte territoriale anche nei confronti della società datrice di lavoro del prestatore che movimentava il mezzo meccanico e che operava presso il cantiere in posizione di distacco. Impugnata la decisione in Cassazione, il ricorso è stato rigettato dai giudici di legittimità che, richiamati i principi che regolano la responsabilità datoriale nel normale contesto produttivo secondo il disposto dell'articolo 2049 del Cc, hanno analizzato l'operatività della norma quando il dipendente operi in posizione di distacco presso l'organizzazione produttiva altrui.
Il giudizio di legittimità - La Suprema corte, dopo aver rilevato la crescente diffusione del peculiare istituto giuridico, utilizzato non solo nell'ambito del collegamento societario, ma anche dei fenomeni di esternalizzazione di fasi del processo produttivo (outsourcing) e di collaborazione e cooperazione tra imprese del tutto distinte, con conseguente incremento delle occasioni di compresenza sul luogo di lavoro di dipendenti appartenenti a diversi datori di lavoro, ha ritenuto che il principio posto dall'articolo 2049 del Cc, secondo cui «i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti», dispiega tutta la sua efficacia anche quando il prestatore opera in posizione di distacco. La conclusione si fonda sui seguenti passaggi argomentativi e sistematici:
a) l'articolo 2049 del Cc individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, quindi sussistente indipendentemente dalla colpa del soggetto responsabile, per cui il dolo e la colpa devono essere valutati con riferimento al solo comportamento dell'ausiliario e non anche a quello del debitore;
b) la norma pone, secondo una convergente impostazione, una presunzione assoluta di colpa nell'attribuzione delle incombenze, che si giustifica con la teoria del rischio d'impresa; quest'ultimo costituisce un principio generale di imputazione della responsabilità, parallelo alla colpa, ed esprime un criterio di allocazione dei rischi, ponendo i danni cagionati dal dipendente a carico dell'impresa come una componente dei costi di questa;
c) il principio del rischio dispiega i suoi effetti anche quando il dipendente lavora in posizione di distacco, come appare conseguenziale alla considerazione che la legittimità del provvedimento presuppone l'esistenza di uno specifico interesse del datore di lavoro alla destinazione del dipendente presso l'organizzazione produttiva altrui;
d) detto interesse, qualificando la vicenda in termini di legittima estrinsecazione del potere datoriale di conformazione della prestazione, consente di ricondurre la fattispecie nella sfera del rischio d'impresa, posto che la determinazione, rispondendo a un'esigenza produttiva e organizzativa del datore di lavoro, ne individua anche gli ambiti di responsabilità, con il contrappeso del rischio per i danni cagionati ai terzi;
e) il collegamento tra l'interesse organizzativo del datore di lavoro distaccante e l'esecuzione della prestazione presso il distaccatario non viene meno per il fatto che l'esercizio dei poteri funzionali alla realizzazione di un utile e corretto adempimento spetta a quest'ultimo, donde l'operatività del criterio obiettivo di imputazione dei rischi, connesso alla responsabilità di impresa;
f) l'interpretazione è in linea con la più recente acquisizione sul modo di operare della tutela antinfortunistica nei processi di esternalizzazione delle fasi della produzione, essendosi ritenuto che quando sono presenti sul medesimo teatro lavorativo lavoratori dipendenti da più imprese, i rischi conseguenti alle attività di ciascun prestatore concorrono a formare l'ambiente di lavoro in relazione al quale sussiste l'obbligo di sicurezza; pertanto, ai sensi degli articoli 4 e 5 del Dpr 27 aprile 1955 n. 547, il datore di lavoro è tenuto a informarsi presso i terzi dei rischi inerenti alle lavorazioni che interferiscono con l'attività dei propri dipendenti, ai quali i rischi stessi devono essere comunicati con le opportune contromisure, con la conseguenza che ove ciò non avvenga e il giudice del merito accerti che la corretta informazione avrebbe fatto emergere i possibili rischi e, quindi, la prevedibilità dell'evento dannoso, ricorrono le condizioni che rendono configurabile la responsabilità datoriale (Cassazione 45/2009).
L'articolo 2049 del Cc - È acquisito che la responsabilità solidale del committente trova giustificazione nel principio cuius commoda, eius et incommoda, quindi nell'esigenza che colui in favore del quale viene svolta un'attività sopporti i rischi inerenti all'esercizio di essa. I presupposti per l'applicazione della norma, in combinato disposto con l'articolo 1228 del Cc, sono:
a) l'esistenza di un danno causato dal fatto dell'ausiliario;
b) il rapporto di preposizione, cioè l'esistenza di una relazione giuridica tra l'ausiliario e il committente;
c) l'occasionalità necessaria, cioè la relazione tra il danno e l'esercizio delle incombenze dell'ausiliario.
Quanto al rapporto di preposizione, la responsabilità del preponente sorge per il solo fatto dell'inserimento dell'agente nell'impresa, senza che siano richiesti né la continuità dell'incarico affidato, né l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato: è sufficiente che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall'imprenditore e che l'ausiliario abbia svolto la sua attività per conto e sotto il controllo del primo (Cassazione 5370/2009 e 14578/2007). Altrimenti detto, l'articolo 2049 del Cc prescinde dalla continuità dell'incarico, nonché dal formalizzarsi di esso in contratti di lavoro, di collaborazione o simili, e considera sufficiente che il comportamento integrante l'illecito sia stato reso possibile o comunque agevolato dall'attività o anche dal solo atto demandato e poi compiuto sotto il potere di controllo e di vigilanza del delegante. Quanto, invece, al rapporto di occasionalità necessaria, non è richiesto l'accertamento del nesso di causalità tra l'opera dell'ausiliario e l'obbligo del debitore, ma è sufficiente che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cassazione 6033/2008).
Le implicazioni scaturenti dal distacco - Come già rilevato, la giurisprudenza richiede, tra le condizioni di operatività della norma, che l'ausiliario abbia svolto l'attività che ha prodotto il danno sotto il potere di controllo del delegante. Quest'ultima condizione normalmente non ricorre nell'ipotesi del comando o distacco, che per definizione postula lo svolgimento dell'attività nell'organizzazione produttiva altrui, quindi sotto la direzione e il controllo dell'imprenditore distaccatario. E, in effetti, la giurisprudenza prevalente, formatasi prima della regolamentazione dell'istituto dettata dall'articolo 30 del Dlgs 9 ottobre 2003 n. 235, ma avente perdurante attualità in assenza di una specifica indicazione, da parte di tale norma, del soggetto legittimato all'esercizio dei poteri che fanno capo al datore di lavoro, è orientata nel senso che il potere direttivo, di controllo e disciplinare - escluse le sanzioni espulsive - spetta al distaccatario per effetto di una delega automatica; ciò perché il prestatore è inserito nella nuova impresa e opera, quindi, alle dipendenze gerarchiche del terzo che, ricevendo la prestazione, è in grado di organizzarla a fini produttivi (Cassazione 12224/99, 8567/99, 5907/93, 10807/90 e 1751/89). Coerentemente, giurisprudenza risalente aveva ritenuto, proprio in controversie aventi lo stesso contenuto di quella decisa dalla sentenza in epigrafe, che ove un imprenditore si avvalga, per l'esecuzione di un determinato lavoro, di una persona normalmente alle dipendenze di altri, assumendone in proprio la direzione e la vigilanza, ai fini della responsabilità ex articolo 2049 del Cc deve considerarsi committente soltanto colui che ha fatto eseguire il lavoro (Cassazione 4031/83 e 4561/83). Tale conclusione deve oggi ritenersi superata sia alla stregua della diversa impostazione adottata dalla sentenza in epigrafe, peculiare nella giustificazione dogmatica della responsabilità del datore di lavoro distaccante, che supera il profilo attinente al controllo attraverso la valorizzazione dell'interesse datoriale quale elemento che consente l'imputazione del rischio d'impresa, sia in ragione dell'ampia visione in cui viene ritenuto operante l'obbligo di sicurezza previsto dall'articolo 2087 del Cc, sussistente anche quando la prestazione venga resa in contesti produttivi altrui, quindi in ambiti nei quali il potere direttivo e organizzativo è delegato ad altri.
Il concorso di responsabilità - In ogni caso resta ferma, come la sentenza in epigrafe dimostra, la possibile e concorrente responsabilità, per i titoli che li obbligano, di altri soggetti, quali il direttore dei lavori e l'imprenditore cui appartiene il contesto produttivo nel quale si è verificato l'infortunio. Resta inteso che il datore di lavoro distaccante, coobbligato solidale, può esperire, nello stesso o in separato giudizio, l'azione di rivalsa contro il dipendente autore del fatto dannoso, per l'intera somma pagata al terzo danneggiato (Cassazione 24802/2008 e 17763/2005). Si tratta di un'applicazione del principio, dettato in generale per le obbligazioni solidali, per cui quando l'obbligazione venga contratta nell'interesse esclusivo di uno dei debitori, l'intero peso del debito grava sul debitore avente interesse esclusivo. Si è visto, infatti, che a carico del committente non è ravvisabile alcuna colpa, essendo chiamato a rispondere, in solido con il proprio dipendente, in forza di una speciale disposizione di legge e in base a un criterio di imputazione legale della responsabilità, che prescinde dalle regole della causalità di fatto, cioè l'articolo 2049 del Cc. In sostanza, l'eventualità del regresso viene meno, se a pagare sia stato il dipendente, debitore con interesse esclusivo, mentre al datore di lavoro, debitore privo di interesse, che abbia pagato è concesso il regresso per l'intero contro il dipendente autore del fatto dannoso.
Quanto al rapporto con e tra gli altri eventuali condebitori, dall'articolo 2055, comma 2, del Cc si desume che il regresso tra responsabili in solido è ammesso, a favore di colui che ha risarcito il danno, e contro ciascuno degli altri, «nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa»; il regresso presuppone, quindi, che ciascuno dei corresponsabili abbia nell'evento una parte di colpa. Com'è acquisito in giurisprudenza, la responsabilità del datore di lavoro che sia stato chiamato a rispondere dell'infortunio per violazione del disposto dell'articolo 2087 del Cc non è una responsabilità oggettiva, onde l'operatività del regresso proporzionato al grado di colpa non incontra ostacoli normativi. La precisazione è necessaria, in quanto non vi è, invece, alcuna possibilità di configurare un regresso, ai sensi della richiamata norma, tra i responsabili indiretti o per fatto altrui, quindi tutti incolpevoli, venendo a mancare in detta ipotesi la stessa funzione giuridica ed economica del regresso, che è quella di accollare il costo del danno all'effettivo responsabile (colpevole) e che non potrebbe utilmente dispiegarsi contro chi non abbia nessuna responsabilità (o colpa) nel fatto dannoso.
Il distacco del lavoratore - La fattispecie del distacco ricorre allorché per disposizione del datore di lavoro il dipendente è tenuto a rendere la prestazione a favore di un diverso imprenditore. Il provvedimento non determina la novazione soggettiva del rapporto, in quanto datore di lavoro rimane quello distaccante; più limitatamente, il distacco costituisce espressione del potere direttivo-organizzativo del datore di lavoro e determina la modifica delle modalità di esecuzione della prestazione, che deve essere resa a favore del terzo. Requisiti costitutivi del distacco, formalizzati nell'articolo 30 del Dlgs n. 235 del 2003 sono l'interesse del datore di lavoro a disporlo e la temporaneità.
L'essenzialità dell'interesse scaturisce dall'indefettibile condizione che la causa del contratto di lavoro in essere con il distaccante deve continuare a operare sul piano funzionale. In ogni caso l'interesse, che non può essere valutato astrattamente, ma richiede di volta in volta un'indagine di merito con riferimento all'attività in concreto espletata dal datore di lavoro e, nel caso di società, al suo scopo sociale (Cassazione 12224/99), deve essere rilevante, cioè volto a soddisfare esigenze produttive od organizzative dell'impresa distaccante (Cassazione 1751/89 e 5907/93); può essere solo parziale, purché non sia del tutto secondario (Cassazione 5907/93); deve essere concreto, in quanto coincidente con quello tipico che ha trovato la sua realizzazione nella costituzione del rapporto di lavoro (Cassazione 1325/88), e diretto, cioè consistente in vantaggi omogenei al contenuto delle prestazioni, le quali devono corrispondere alle esigenze del distaccante (Cassazione 4851/92).
Quanto al secondo requisito, è acquisito che la temporaneità del provvedimento equivale non a brevità, ma a non definitività (Cassazione 14458/2000): ne consegue, da un lato, che la durata del comando non deve essere predeterminata al momento di adozione del provvedimento o più o meno lunga, in quanto l'utilizzazione può protrarsi per tutto il tempo per il quale persiste l'interesse (Cassazione 1751/89, 7328/92 e 2880/98); dall'altro, l'irrilevanza del fatto che il provvedimento venga adottato contestualmente all'assunzione del lavoratore o si protragga per tutta la durata del rapporto di lavoro (Cassazione 1751/89, 7328/92 e 2880/98). In sostanza, il distacco è temporaneo fino a quando perdura l'interesse a disporlo, e tale condizione costituisce l'unico parametro di valutazione, donde la legittimità del provvedimento adottato contestualmente all'assunzione o la cui durata si protragga sino all'estinzione del rapporto.
Il comma 3 dell'articolo 30 stabilisce che «il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato»; ne consegue che il consenso del prestatore è richiesto solo quando il provvedimento comporti un mutamento di mansioni. Com'è noto, nell'ambito della disciplina dettata dall'articolo 2103 del Cc per la legittimità della modifica orizzontale o laterale delle mansioni è sufficiente la ricorrenza dei requisiti dell'equivalenza oggettiva e soggettiva, mentre è irrilevante il consenso del lavoratore, necessario esclusivamente in caso di assegnazione a mansioni superiori o non equivalenti sotto il profilo soggettivo, trattandosi di modificazioni del rapporto che il datore di lavoro non può imporre al prestatore; non è, invece, disponibile per le parti l'utilizzazione in mansioni inferiori, al di là delle ipotesi in cui il provvedimento sia finalizzato a evitare il licenziamento, per esempio, per inidoneità fisica sopravvenuta. Viceversa, nel caso del distacco, il consenso è necessario in presenza di qualsiasi variazione dei compiti assegnati, pur ricompresi in uno stesso livello professionale o retributivo e ancorché sussista il requisito dell'equivalenza soggettiva e risulti, quindi, salvaguardata la professionalità acquisita. Il maggior rigore si giustifica con la diversa dislocazione che il provvedimento comporta, ancorché contenuta entro i cinquanta chilometri. In sostanza, la cornice normativa che delimita l'estensione del potere datoriale di variazione delle mansioni continua a essere rappresentata dalla disciplina dettata dall'articolo 2103 del Cc, ferma restando la necessità del consenso ove l'utilizzazione presso il terzo implichi una variazione delle incombenze di lavoro.
La seconda parte del comma 3 citato aggiunge che il distacco che comporti il trasferimento a un'unità produttiva sita a distanza superiore ai 50 chilometri rispetto alla precedente è consentito solo in presenza di comprovare ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, la cui ricorrenza, dunque, costituisce ulteriore presupposto di legittimità del provvedimento, che si aggiunge al requisito dell'interesse al distacco.
Il comma 2 dell'articolo 30 stabilisce che in caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. L'adempimento degli obblighi previdenziali e il pagamento della retribuzione e del trattamento di fine rapporto è, dunque, a carico del datore di lavoro distaccante. Più in generale, il titolare del rapporto risponde sul piano retributivo di ogni modificazione che intervenga nell'esecuzione delle prestazioni nel corso del provvedimento e che sia allo stesso riconducibile (Cassazione 10807/90 e 7431/90); rimangono, tuttavia, escluse quelle obbligazioni che trovano la propria fonte in autonome pattuizioni accessorie al primo rapporto, delle quali risponde il solo distaccatario (Cassazione 877/88).
Può accadere che il terzo beneficiario della prestazione utilizzi il dipendente in mansioni superiori. La promozione così ottenuta può essere opposta all'imprenditore distaccante, nonostante la sua estraneità al provvedimento, quando sia scaturita dall'utilizzazione in mansioni omogenee a quelle rese prima del distacco o previste in sede di adozione dell'atto (Cassazione 6181/90 e 6814/87). Diversamente, si configura tra il terzo beneficiario della prestazione e il dipendente un ulteriore rapporto obbligatorio atipico, collegato al primo contratto ma autonomo rispetto a esso, volto a modificare o integrare quanto derivante dall'originaria obbligazione, del cui contenuto rispondono solo le parti stipulanti (Cassazione 392/79 e 877/88); pertanto, in questa seconda ipotesi, cessato il distacco, il dipendente riacquista la categoria e qualifica anteriori, senza che si configuri un declassamento vietato, essendo l'assegnazione delle mansioni superiori correlata all'autonomo rapporto atipico ormai venuto meno. Il problema, naturalmente, non si pone allorché l'utilizzazione nelle superiori mansioni costituisca la giustificazione del comando, sia, cioè, nota al distaccante, che avrebbe potuto evitare le conseguenze derivanti dall'assegnazione delle mansioni superiori non dando corso al provvedimento (Cassazione 2471/84).