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Notiziario on line – news letter n.9
Senza un addebito di colpa all'imprenditore inutile sondare la condotta del dipendente Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 21-31 ottobre 2008 n. 40821 (Presidente Marzano; Relatore Piccialli; Pm - difforme - Ciampoli; Ricorrente Petrillo) LA MASSIMA Lavoro - Infortuni sul lavoro - Normativa antinfortunistica - Datore di lavoro - Obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro - Contenuto - Comportamento negligente del lavoratore - Tendenziale irrilevanza - Previo accertamento della colpa del datore di lavoro - Imprescindibilità. (Dpr 27 aprile 1955 n. 547, articoli 4 e seguenti; Cc, articolo 2087; Dpr 9 aprile 2008 n. 81, articolo 18; Cp, articolo 41) In tema di infortuni sul lavoro, il principio in forza del quale l'addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, salvo che ci si trovi in presenza di comportamenti abnormi, come tali eccezionali e imprevedibili (articolo 41, comma 2, del Cp), deve comunque tenere conto dell'altro principio secondo cui, per poter formalizzare il giudizio di responsabilità, occorre in ogni caso accertare la colpa del datore di lavoro, la quale è pur sempre il presupposto dell'addebito.
Fatto e diritto
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, fermo restando il giudizio di responsabilità per il reato di lesioni colpose gravi aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica, riteneva le già concesse attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti e riduceva la pena inflitta all'appellante Petrillo Alfonso ad euro 1.000 di multa.
Trattavasi di un infortunio sul lavoro occorso in data 29 luglio 1997 al lavoratore dipendente Parisi Pasquale, preposto dalla ditta Coelna s.r.l. alla sicurezza del cantiere relativo ai lavori di fornitura di un servizio di radioterapia all'ospedale Ciaccio di Catanzaro, il quale, al suo primo giorno di lavoro, essendosi accorto, nell'eseguire i lavori, della presenza di una linea elettrica passante sotto il pavimento ove sarebbe sorto il reparto di radiologia, si era recato presso altro reparto del predetto ospedale insieme al manutentore per la parte elettrica del citato ospedale e a causa dello sprigionarsi di una sfiammata dalla cassetta di derivazione elettrica sulla quale entrambi gli operai stavano lavorando, riportava ustioni leggere al viso ed ustioni più gravi ad entrambe le mani, non essendo il lavoratore dotato dei guanti e dello schermo protettivo.
Il Petrillo era stato chiamato a risponderne quale titolare della Ditta Coelna Impianti s.r.l, essendosi ravvisati a suo carico profili di colpa specifica, fondata sulla inosservanza del obbligo di dotare il dipendente di dispositivi idonei a proteggerlo durante la fase di lavorazione su impianti sotto tensione.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione Petrillo Alfonso articolando tre motivi.
Con il primo motivo, di carattere procedurale, deduce la nullità assoluta delle sentenza di primo e di secondo grado per violazione del diritto della difesa, sul rilievo che uno dei due difensori nominati non avrebbe mai ricevuto, l'avviso del decreto di citazione a giudizio in relazione al processo di primo grado.
Con il secondo motivo lamenta la carenza di motivazione ed il travisamento del fatto con riferimento ai due passaggi motivazionali in cui la Corte di merito riconosce la responsabilità del Petrillo nonostante il Parisi fosse intervenuto, di sua iniziativa e senza chiedere l'autorizzazione del datore di lavoro, nel reparto dell'ospedale non oggetto del contratto di appalto e nonostante i giudici di appello riconoscano come la causa determinante dell'infortunio fosse addebitabile, con alto grado di probabilità, alla condotta del manutentore dell'impianto elettrico dell'ospedale.
Sotto il primo profilo, pertanto, la Corte di merito illogicamente non avrebbe tratto le giuste conclusioni dal comportamento posto in essere dal lavoratore avventato ed esorbitante rispetto alle mansioni affidatigli.
Sotto il secondo profilo, i giudici di merito avrebbero erroneamente omesso di individuare nella condotta colposa del dipendente dell'Ospedale - il quale, come evidenziato dal consulente di parte, con il cacciavite sulla morsettiera della cassetta di derivazione aveva determinato la fuoriuscita dal morsetto di un conduttore percorso da corrente così determinando lo sprigionarsi di una fiammata dal prodursi di un arco voltaico - la causa sopravvenuta ex art. 41 comma 3, c.p., idonea a determinare l'arco voltaico dal quale erano derivate le lesioni.
Così ricostruiti i fatti, non poteva essere imputabile al Petrillo, l'omessa fornitura di strumenti genericamente idonei a garantire la salute del lavoratore rispetto ai potenziali rischi elettrici non connessi all'attività lavorativa svolta in quel momento.
Con il terzo motivo chiede alla Corte, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei primi due motivi, la dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Con riferimento al primo motivo di carattere procedurale, va innanzitutto rilevato che il vizio non era stato dedotto dinanzi al giudice di appello con specifica impugnazione, con la conseguente inammissibilità in questa sede.
In ogni caso, va ricordato che l'assenza nel dibattimento di uno dei difensori nominati dall'imputato, conseguente al mancato avviso allo stesso della data fissata per l'udienza configura una ipotesi di nullità di carattere assoluto a regime intermedio inquadrabile quindi tra quelle previste dall'art. 180 c.p.p., con la conseguenza che rimane senza effetto se non è dedotta tempestivamente dall'altro difensore, ritualmente avvisato (v. Sezione VI, 20 dicembre 2006, Greco, rv. 236649).
La vicenda in esame si iscrive perfettamente nell'ambito di operatività dei suddetti principi ove si consideri (previo apprezzamento degli atti da parte di questa Corte in ragione della natura della censura) che nessuna eccezione in tal senso era stata sollevata dinanzi ai giudici di merito.
Il secondo motivo è, invece, fondato.
È nota la giurisprudenza di rigore della Corte di legittimità in tema di rilevanza della colpa del lavoratore ai fini e per gli effetti di escludere o no l'addebito di responsabilità a carico del datore di lavoro.
Vale il principio in forza del quale, di norma, la responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio.
Ciò in quanto al datore di lavoro è imposto (anche) di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore: cosicché il datore di lavoro è garante anche della correttezza dell'agire del lavoratore.
Per l'effetto, la colpa del datore di lavoro non è esclusa da quella del lavoratore e l'evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui ex lege è onerato, sulla base del principio dell'equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (articolo 41 comma 1, c.p.).
Per mitigare gli effetti del richiamato principio, vale peraltro il (concorrente) principio dell'interruzione del nesso causale, esplicitato normativamente dall'articolo 41 comma 2, c.p., in forza del quale, facendosi eccezione proprio al concorrente principio dell'equivalenza delle cause, quella sopravvenuta del tutto eccezionale ed imprevedibile, in alcun modo legata a quelle che l'hanno preceduta, finisce con l'assurgere a causa esclusiva di verificazione dell'evento.
In tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell'evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore, finisce con l'essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento, che, per l'effetto, è addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore.
Per interrompere il nesso causale occorre, comunque, un comportamento del lavoratore che sia «anomalo» ed «imprevedibile» e, come tale, «inevitabile»; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell'obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro (cfr., tra le altre, Sezione IV, 4 luglio 2003, Valduga; nonché, Sezione IV, 12 febbraio 2008, Trivisonno).
Si deve trattare, in altri termini, di un comportamento del lavoratore definibile come «abnorme», che, quindi, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
L'ipotesi tipica è quella del lavoratore che violi «con consapevolezza» le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare.
Altra ipotesi è quella del lavoratore che provochi l'infortunio ponendo in essere, colposamente, un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento esorbitante rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro (come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un'altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad altro lavoratore; ovvero nel caso in cui il lavoratore, pur nello svolgimento delle mansioni proprie, abbia assunto un atteggiamento radicalmente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenze comportamentali) (cfr., tra le tante, Sezione IV, 5 luglio 2004, Grandi; Sezione IV, 27 novembre 2002, Bosia; nonché, di recente, Sezione IV, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri).
Qui, non sembra dubitabile che si verta in un'ipotesi paradigmatica di esclusione di colpa del datore di lavoro, proprio in ragione dell'assoluta imprevedibilità del comportamento del lavoratore che, indotto da altro soggetto estraneo all'apparato aziendale, aveva finito con l'impegnarsi in un'attività del tutto esorbitante rispetto alle specifiche mansioni affidategli. Così ponendo le condizioni per la recisione di qualsivoglia collegamento eziologico con l'attività lavorativa che era stato comandato di effettuare e, in ultima analisi, con la correlativa posizione di garanzia del datore di lavoro.
Ma a ben vedere, qui si pone, proprio alla luce della ricostruzione della vicenda operata in sede di merito, un ulteriore profilo per addivenire ad una soluzione liberatoria.
Infatti, la descrizione della vicenda incriminata non consente di apprezzare finanche la colpa del datore di lavoro che è pur sempre (come ovvio) il presupposto dell'addebito, anche nella concorrente presenza della colpa del lavoratore infortunato.
La colpa va accertata, nel senso che va individuata la regola di condotta generica o specifica che si assume violata e, rispetto a tale norma, in ossequio ai principi generali vigenti in materia, va verificata la sussistenza dei presupposti della prevedibilità e della evitabilità del fatto dannoso verificatosi.
Qui non risulta individuata - né individuabile - una regola cautelare in ipotesi violata che possa ricollegarsi ad un evento in realtà verificatosi al di fuori delle mansioni del lavoratore e degli incombenti di cui questi era stato onerato.
Ma in ogni caso, anche a voler ipotizzare che il datore di lavoro avesse dovuto fornire lo strumentario di sicurezza nei termini (inesattamente) ipotizzati in sede di merito, è fin troppo evidente l'insussistenza rispetto all'evento dannoso del parametro della prevedibilità.
Come è noto, la esistenza ditale parametro va accertata con criteri ex ante e si fonda sul principio che non possa essere addebitato all'agente di non aver previsto un evento che, in base alle conoscenze che aveva o che avrebbe dovuto avere, non poteva prevedere (Sezione IV, 14 novembre 2007, Pozzi).
Tale presupposto non può concettualmente ipotizzarsi rispetto ad una vicenda del tipo di che trattasi, vertendosi in un'ipotesi di evento dannoso connesso allo svolgimento di una attività stravagante rispetto alle specifiche mansioni.
Correlativamente, difetta anche l'ulteriore, concorrente presupposto dell'evitabilità dell'evento, non essendo concepibile, rispetto ad un'attività posta in essere al di fuori delle mansioni, una qualsivoglia condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) che, se il datore di lavoro avesse tenuto, avrebbe comunque evitato l'evento.
La pronuncia va annullata, quindi, assorbentemente con la formula di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.