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Notiziario online – newsletter n.6
La comunicazione alla Centrale rischi della Banca d'Italia di una posizione in "sofferenza" di un proprio cliente, da parte di un istituto di credito, scatta non solo di fronte ad una accertata insolvenza ma anche quando «il rientro non appaia sicuro o, quantomeno, altamente probabile». Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 1725/2015 , rigettando il ricorso di una Srl.
La vicenda - La banca dopo aver revocato l'apertura di credito alla società, ed intimato il pagamento del «saldo debitore», aveva inviato la segnalazione. Secondo il ricorrente però, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, non sono situazioni «sostanzialmente equiparabili» allo stato di insolvenza quelle in cui si ravvisa «una sensibile difficoltà nella gestione e nel controllo dell'equilibrio economico-finanziario del soggetto che fanno temere la possibilità, anche non immediata, di un futuro dissesto». Non essendovi alcuna certezza di un inadempimento definitivo.
Il sistema - La Suprema corte ricorda che il servizio di segnalazione rischi costruisce uno strumento di valutazione del merito creditizio da parte degli intermediari, e dunque per essere efficacie deve arrivare prima dell'insolvenza vera e propria. Mentre «se il debito potesse essere legittimamente appostato a sofferenza soltanto quando il cliente versa in stato di decozione, verrebbe meno la stessa utilità della segnalazione». Il servizio è regolato dalle istruzioni di Bankitalia, circolare 139/91, secondo cui «ciascuna banca, qualora l'esposizione del cliente raggiunga o superi i limiti previsti da una delle categorie di rischio censite, è tenuta ad informare la Banca d'Italia» che poi trasferisce l'informazione all'intero ceto bancario.
La nozione di sofferenza - E, spiega la Corte, alla categoria della "sofferenza" «va ricondotta l'intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalle aziende». Un giudizio che implica «una valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest'ultimo nel pagamento del debito». Dunque, non vi può rientrare una situazione di «illiquidità contingente» ma non è richiesta neppure una previsione di «perdita su crediti», per cui l'alert è legittimo anche «qualora il patrimonio del debitore consenta ancora, allo stato e nel contesto della sua negatività, margini di rientro».
Correttamente allora la Corte di appello ha sostenuto che la definizione di insolvenza in questo ambito è del tutto «autonoma» rispetto a quella individuata dall'articolo 5 della legge fallimentare, sia perché contenuta in una normativa secondaria destinata ad operatori tecnici sia per la funzione preventiva della centrale rischi.
Inoltre la norma non può neppure essere considerata illegittima per via della sua «genericità», in quanto la varietà delle situazioni non permette di individuare «parametri predefiniti», per cui è necessaria una certa discrezionalità degli operatori, che ovviamente non può sconfinare nell'arbitrio ma deve sempre fondarsi su dati oggettivi.
In ultimo, la Cassazione ricorda che in tema di revocatorie di rimesse bancarie, «il versamento annotato in conto deve ritenersi avvenuto allorché la somma accreditata viene posta nell'effettiva disponibilità del correntista». Per cui la segnalazione della banca aveva rispettato i termini.
Fonte Guida diritto pubbl.29.01.15