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Eclettismo tecnico

L’ECLETTISMO TECNICO DI PRIMO E DI SECONDO TIPO


Lucio Demetrio Regazzo



L’eclettismo tecnico si divide in due tipi principali: il primo prevede che le tecniche debbano essere scelte valutandole in pratica e non teoricamente, in base alla loro reale capacità di ottenere risultati in campo clinico, quindi unirle in un insieme che forma un singolo trattamento; il secondo, definito accoppiamento prescrittivo, si differenzia non per il modo con cui decidere le tecniche valide, ma su come utilizzarle. Piuttosto che formarne un singolo trattamento utile per tutti i disagi, selezionarle secondo la patologia che il paziente presenta.


Noi ci sentiamo di aderire al secondo tipo. Vediamo comunque le obiezioni sollevate sull’eclettismo.


Sul primo tipo, il problema sollevato, è che un insieme non è solo costituito dalla somma delle parti, disgiunte dal contesto teorico da cui derivano. Anche se uno strumento psicoterapeutico è efficace, quindi, può divenire invalidato dall’utilizzo in un altro approccio teorico. In secondo luogo un singolo trattamento non può rivelarsi utile per tutta la psicopatologia.


Sull’accoppiamento prescrittivo, Safran e Messer sollevano l’obiezione che la diagnosi non prescinde dal soggetto che la presenta: una stessa diagnosi deve essere trattata diversamente secondo il paziente. In secondo luogo, durante il percorso terapeutico e all’interno di una stessa seduta, il paziente cambia e può modificarsi la diagnosi. In sostanza, affermano gli autori:


“Di conseguenza il terapeuta competente deve costantemente modificare gli interventi in modo sensibile al contesto in accordo con un processo diagnostico in evoluzione, piuttosto che utilizzare uno schema terapeutico predefinito come risposta a una diagnosi statica" (Rice & Greenberg, 1984; Safran, Greenberg & Rice, 1998).



L'incapacità di condurre la ricerca psicoterapeutica in modo sufficientemente sensibile al contesto è probabilmente uno dei fattori sottesi alle difficoltà incontrate da un consistente numero di terapeuti nell'interazione con i loro pazienti (Beutler, 1991; Omer & Dar, 1992).


Gli Autori sembrano sostenere l’inadeguatezza dell’eclettismo tecnico con argomentazioni logiche, coerenti e corrette.


Rivediamole schematicamente:


1) uno strumento psicoterapeutico efficace all’interno del proprio contesto teorico può divenire inefficace con l’inserimento in un altro approccio teorico;


2) un singolo trattamento non può rivelarsi utile per tutta la psicopatologia;


3) una stessa diagnosi deve essere trattata diversamente secondo il paziente;


4)durante il percorso terapeutico e/o all’interno di una stessa seduta, il paziente cambia e può cambiare la diagnosi, quindi il terapeuta deve modificare continuamente gli interventi in accordo con diagnosi e contesto che mutano. Sostanzialmente non ne sono capaci.



Analisi delle obiezioni di Safran e Messer.



“Uno strumento psicoterapeutico efficace all’interno del proprio contesto teorico, può divenire inefficace con l’inserimento in un altro approccio teorico”.


Riteniamo anche noi che la trasposizione di uno strumento da una cornice teorica a un’altra possa rendere inefficace la tecnica stessa. Tuttavia il rischio è superabile adottando, nel processo integrativo, tecniche compatibili con l’epistemologia in cui sono inserite. Ancora, la stessa può essere modificata, ove possibile sino a renderla congruente con il modello che la mutua. É d’altronde ovvio che un terapeuta cognitivo-comportamentale non possa utilizzare una libera associazione, mentre si può appropriare di interventi paradossali. In definitiva sembra che la critica degli autori derivi da una generalizzazione più che dalla realtà dell’agire clinico.



“Un singolo trattamento non può rivelarsi utile per tutta la psicopatologia”.


Questo non è un problema correlato all’eclettismo tecnico ma a ogni modello. Andando oltre, l’affermazione degli autori appare contraddittoria rispetto alla loro resistenza a ogni approccio integrativo: maggiori sono le tecniche che un clinico è in grado di utilizzare, più semplice è la sua possibilità di adattare il trattamento ai diversi disturbi.





“Una stessa diagnosi deve essere trattata diversamente secondo il paziente”.


Anche su questo passo, ribadiamo che non è una difficoltà dei metodi integrati, ma di qualsiasi strategia.


Il problema è correlato alla preparazione del terapeuta non al metodo che segue: ci troviamo in linea con gli autori differenziandoci per il focus dell’ostacolo, conosciuto da tutti i clinici esperti. Infine, Safran e Messer, nell’articolo citato, sostengono la necessità di cambiare i programmi di formazione degli psicoterapeuti, rendendola più eclettica e meno “libresca”. Quindi la domanda è: formazione più eclettica, ma esercizio della pratica clinica no?




“Durante il percorso terapeutico e/o all’interno di una stessa seduta, il paziente cambia e può cambiare la diagnosi, quindi il terapeuta deve modificare continuamente gli interventi in accordo con diagnosi e contesto che mutano. Sostanzialmente non ne sono capaci”.


Ci rincresce apparire troppo critici e ripetitivi; non possiamo che ripetere esattamente quanto scritto nel precedente passaggio. Sul “Sostanzialmente non ne sono capaci”, aggiungiamo che ciò dipende sia dalla formazione, sia dal fatto sia i trattamenti maggiormente insegnati e convalidati derivano da ricerche sperimentali di tipo R.C.T. e non da ricerche cliniche.


Ormai è opinione comune che la sperimentazione di laboratorio produce protocolli che si rivelano inefficaci in campo ecologico, pur risultando validi in laboratorio.


La realtà sperimentale e quella clinica sono troppo diverse; ciononostante le regole scritte nel documento della divisione 12 dell’ A. P. A. continuano a essere considerate di livello superiore per validare un trattamento, tenendo in secondo piano la ricerca clinica.



Ci soffermiamo su un limite del metodo di Lazarus, l’ideatore dell’ Eclettismo tecnico, che è stato sottolineto da molti, anche se in modo meno carico di Safran e Messer: sostanzialmente si sostiene che le tecniche, private della propria cornice teorica e inserite in altri modelli, mantengono l’efficacia − negata dagli autori più volte citati − ma perdono l’efficienza.


Con questo postulato ci troviamo in pieno accordo; sosteniamo, andando oltre a Lazaruz, che: la tecnica deve essere ricontestualizzata, cioè ricollocata nel modello teorico in cui è utilizzata; non tutti gli strumenti, modificati o meno, posso essere mutuati, “tout court”, in un approccio senza un’attenta valutazione sulla loro compatibilità epistemologica con la strategia “ospite”, con la patologia su cui si deve intervenire e sulla formazione dello psicoterapeutache deve essere poliedrica, non limitata a un solo modello.



L’eclettismo come via da seguire



D’altronde respingere una qualche forma di eclettismo ha premesse, implicazioni e conseguenze insostenibili o non più accettabili:


- premessa: una strategia o, al contrario, nessuna di esse è considerata, sia epistemicamente, sia come insieme di tecniche con cui opera, superiore alle altre su tutte le psicopatologie e tutte le persone;


- implicazioni: nel primo caso si ricerca il paradigma unico sovraordinato, nel secondo si rinuncia a ogni tentativo di riduzione dei metodi;


- conseguenze: continuare ad aumentare la situazione confusa con l’esponenziale proliferazione delle psicoterapie.


Rimane l’opzione di Safran e Messer che raccomandano l’incontro, nel rispetto delle diversità, per favorire l’integrazione. Infatti la loro analisi si conclude con la proposta di superare una filosofia della scienza relativistica e accogliere il modello pluralistico. Il pluralismo, diversamente dal relativismo, permette una serie di scambi nella quale le diverse posizioni mostrano accettazione reciproca, interagendo senza che nessuno tenti di assimilare l’altra. Esso, pur negando la verità universale e oggettiva, tenta l’integrazione senza negare le differenze, ma evitando un irrigidimento fazioso su un’epistemologia. Siamo certamente attenti a un invito al dialogo e in linea con chi afferma che attraverso lo scambio si ottiene il migliore risultato, ma:


- gli autori considerano scontato il superamento della faziosità ancora esistente tra le diverse correnti e conseguentemente della difficoltà di dialogare.


- Safran e Messer hanno scritto il loro articolo da oltre dieci anni, e da allora il numero di modelli è ulteriormente aumentato; ciò non porta a credere che il loro invito sia stato accolto e abbia grandi possibilità di esserlo.


- pensiamo e crediamo che scambi e dialogo, acquisizioni di elementi tra un sistema e un altro, necessitano della prerogativa di avere delle compatibilità o delle convenienze.


Certamente le scienze procedono come le culture e le lingue. Queste arricchiscono ed evolvono, non solo in modo autogeno, ma anche attraverso continui scambi con sistemi culturali e linguistici diversi, senza il pericolo che una fagociti l’altra. Il saluto veneziano “schiavo vostro” (ciao) è divenuto internazionale, senza che per questo tutto il globo divenisse italiano: semplicemente è stato trovato agevole, simpatico o altro. Alcune parole inglesi sono ormai inserite nel vocabolario di molti popoli: perché più semplice, più parlata nel mondo scientifico o altro che rientra comunque in un vantaggio riconosciuto. Inoltre i popoli che hanno introdotto parole inglesi, per questo non hanno perso la loro identità culturale e linguistica. In una zona dell’isola di Creta, alcuni termini di uso quotidiano derivano dal vecchio dialetto padovano, come “piron” (forchetta) ”carega”(sedia); ma i cretesi continuano a parlare la loro lingua arricchita da questi e altri termini veneti.


Ci chiediamo, allora, se l’opposizione all’eclettismo non derivi anche dal timore che il proprio modello sia contaminato, perda la propria originalità, se acquisisce alcuni strumenti di altri modelli.


Certamente ci sono degli ostacoli pertinenti alla filosofia della scienza, nel perseguire l’eclettismo, ma il timore è che avanti a questo ci sia ancora una propensione per quella che da molti è stata definita “lotta di bottega”.


Parafrasiamo, allora alcune parole di Jung: ho fondato il modello, ma non sarò mai junghiano; forse intendeva dire di non irrigidirsi su un paradigma, per quanto valido e completo sia.


A questo punto può sembrare che siamo in linea con Safran e Messer; siamo sì attenti alla loro proposta, ma insistiamo sull’impossibilità del dialogo tra sistemi che non vogliono dialogare, quindi il pluralismo è realizzabile tra chi accetta di assimilare in quanto compatibili con la propria epistemologia strumenti di altre teorie. Cerchiamo di spiegare quest’aspetto, andando su esempi di acquisizioni linguistiche di altri popoli e vedendo cosa accade quando termini di altri popoli tentano di essere assimilati da culture che per diversi motivi si mostrano refrattarie.


Quando nei paesi di lingua tedesca si è sostituita la ß con la doppia esse, per adeguarsi al vocabolario occidentale, la popolazione si è opposta e tuttora la ß è tornata sillaba prevalente. In un determinato momento storico e politico, il governo francese ha proibito ai locali pubblici di portare denominazioni anglofone.


Facciamo questi ultimi esempi, per ribadire che non esiste assimilazione lenta tra sistemi incompatibili e per sottolineare il nostro scetticismo sulle proposte di Safran e Messer.


Concludiamo questo capitolo ricordando che molte ricerche di tipo ecologico hanno dimostrato che gli psicoterapeuti che ottengono i migliori risultati, sono quelli che utilizzano un metodo eclettico.


Un sondaggio effettuato tra psicologi clinici, terapeuti della coppia e della famiglia, psichiatri e assistenti sociali ha documentato che tra il 59 e il 72 per cento di essi sosteneva di utilizzare preferenzialmente un approccio eclettico (Jensen, Bergin & Greaves, 1990). Da diversi anni, inoltre, c'è una attenzione crescente verso l'integrazione in psicoterapia da parte dei ricercatori e dei clinici (Norcross, 2006; Wolfe, 1995). Da studi recenti è emerso che praticamente tutti i terapeuti di matrice umanistica si percepiscono come praticanti un metodo pluralistico (Schottenbauer, 2005). Per ultimo: solo con un approccio eclettico o integrato si utilizzano tecniche di altri approcci, sce­gliendo quelle più adatte per aiu­tare la persona a risolvere i sintomi che lo portano alla terapia e successivamente e/o parallelamente intervenire per ristrutturare la personalità.