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BORDERLINE COME?

Borderline: come?


Lucio Demetrio Regazzo, Alfried Längle



Riassunto



La collocazione nosografica del disturbo borderline presenta aspetti problematici riferibili anche allo specifico approccio a cui viene fatto riferimento. Sono descritti elementi di forza e criticità degli approcci strutturale, categoriale, dimensionale ed eziopatogenetico; sono inoltre delineati i concetti fondamentali dei principali modelli teorici esplicativi, proposti in ambito psicoanalitico, cognitivo-comportamentale e analitico-esistenziale. Sono, di seguito, riportati brani di soggetti borderline o di loro conviventi.



La condizione borderline: approcci nosografici e modelli teorici a confronto



Nell’accostarsi all’oggetto di studio “borderline” se ne può ricavare la sensazione di un territorio piuttosto insidioso e di difficile penetrabilità, in cui le mappe che lo descrivono risultano spesso molto diverse tra loro e possono apparire, ad un primo esame, vagamente disorientanti.


Importanti interrogativi sono al centro di un dibattito sempre aperto, tutt’ora in corso, negli studi di clinici e ricercatori impegnati a dare una risposta ad un malessere che nella società si manifesta con frequenza sempre maggiore e che, pur articolandosi in molteplici sfaccettature, sembra tuttavia avere contorni comuni. Una delle domande più rilevanti riguarda la questione se sia possibile una descrizione nosografica di una condizione patologica borderline o se invece questo termine sia utilizzato come una sorta di contenitore vuoto in cui inserire tutti quei casi non meglio diagnosticabili in altro modo. Nell’approfondire tali interrogativi ci si può addentrare in un percorso che si snoda attraverso quattro principali tipi di approccio alla definizione nosografica della fenomenologia borderline: strutturale, categoriale, dimensionale ed eziopatogenetico, ognuno dei quali presenta specifici punti di forza e criticità.


Pilastro fondamentale dell’approccio nosografico strutturale sono le concezioni teoriche di Kernberg (1981, 1984), il quale considera l’“organizzazione borderline” come una possibile struttura della personalità, differenziabile da quella nevrotica o psicotica sulla base di un diverso percorso evolutivo e di differenze nelle dinamiche intrapsichiche riguardanti, in particolare, il grado di integrazione dell’identità, le modalità difensive e l’esame di realtà. La diagnosi strutturale si fonda sui criteri inferenziali del colloquio clinico, teso a verificare la presenza di aspetti specifici e aspecifici di funzionamento psicologico. Nel complesso, se da un lato la classificazione strutturale si presenta coerente e chiara, dall’altro, il fatto di consentire un raggruppamento all’interno di confini troppo estesi di quadri psicopatologici eterogenei tra loro, può rappresentare uno dei principali aspetti problematici. Infatti quelli che attualmente sono classificati nel DSM-IV-TR come Disturbi di Personalità sia di tipo A che di tipo B, secondo la visione strutturale sarebbero accomunati da una stessa sottostante qualità organizzativa definibile come “borderline”. É forse questo aspetto che può aver prodotto nel corso del tempo un uso eccessivo e inadeguato di questa etichetta nosografica, nel semplice tentativo di ovviare ad una certa confusione diagnostica.


Si fonda sull’approccio categoriale, invece, la proposta del DSM-IV-TR (APA, 2000), di inserire il Disturbo Borderline di Personalità nel gruppo B dell’asse II. Dei nove criteri diagnostici che lo riguardano, almeno cinque sono sufficienti per includere un soggetto in tale categoria: sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono, relazioni interpersonali intense ed instabili caratterizzate alternativamente da iperidealizzazione e svalutazione, alterazione dell’identità, impulsività in almeno due aree (abuso di sostanze, guida spericolata, sessualità promiscua, abbuffate, spese compulsive), comportamento automutilante o gesti suicidari, instabilità affettiva, sentimenti cronici di vuoto, difficoltà di controllo della rabbia, ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori. L’aspetto volutamente ateorico e puramente descrittivo del DSM offre opportunità di ampio scambio di conoscenze tra studiosi di orientamenti teorici diversi, la semplicità della sua struttura dicotomica permette di prendere decisioni chiare e condivisibili, pur tuttavia anche il sistema classificatorio categoriale presenta diversi punti deboli. I criteri stabiliti sono da considerarsi sempre provvisori, frutto di un lavoro in continuo cambiamento. L’alta percentuale di codiagnosi, nel Disturbo di Personalità Borderline in particolare (spesso diagnosticato in comorbilità con altri disturbi di asse II o I, come Disturbi dell’Umore, Disturbi Correlati a Sostanze, Disturbi dell’Alimentazione, Disturbo Post-traumatico da Stress e Disturbo da Deficit d’Attenzione/Iperattività), induce ad interrogarsi sull’adeguatezza delle categorie stesse e dei criteri diagnostici che le definiscono. Inoltre, basandosi su di un sistema di tipo politetico, talvolta i soggetti diagnosticabili come borderline possono risultare talmente eterogenei, da indurre a chiedersi se il fatto di riunirli all’interno di uno stesso confine non sia sostanzialmente un atto artificioso.


Una possibile compensazione delle criticità del sistema categoriale è offerta dall’approccio dimensionale alla diagnosi, una visione che postula una differenza tra salute e malattia di tipo quantitativo anziché qualitativo, riconoscibile, cioè, grazie a “valori di soglia” in grado di segnalare la disfunzionalità di aspetti psichici collocabili lungo un continuum.Se la concezione classificatoria categoriale si fonda sul principio nomotetico, ossia raggruppa individui differenti sotto la stessa etichetta diagnostica purché soddisfino criteri stabiliti, la logica dimensionale, al contrario, basandosi sul principio idiografico, massimizza le differenze interpersonali, collocando ogni individuo in un punto preciso di una dimensione e differenziandolo da tutti gli altri. Diverse ricerche condotte con appositi strumenti testistici avrebbero rilevato la possibilità di riconoscere nei soggetti borderline valori più elevati in alcuni aspetti dimensionali, come la ricerca di novità, l’instabilità emozionale e l’impulsività. Tuttavia la complessità delle procedure, le difficoltà inerenti all’eterogeneità dei modelli teorici (che talvolta propongono un’identica terminologia per definizioni concettuali non sovrapponibili) e la sostanziale giovinezza della disciplina, hanno fatto sì che a tutt’oggi non sia ancora disponibile un sistema di classificazione dimensionale empiricamente validato e idoneo alle esigenze della pratica clinica. Inoltre i modelli dimensionali fanno generalmente riferimento alle teorie dei tratti, mentre più recentemente si sono sviluppate concezioni della personalità basate su aspetti processuali piuttosto che dimensionali, il che rende estremamente problematico identificare le variabili da studiare, le procedure di rilevazione e le tecniche di analisi dei dati.


Sul versante dell’approccio eziopatogenetico, invece, diversi modelli teorici hanno cercato di individuare quello che può essere considerato il “disturbo nucleare” alla base della condizione borderline, cioè un elemento distintivo, da un punto di vista nosografico, capace di renderla distinguibile da altri tipi di psicopatologia.


Ad esempio, nella particolare visione di Marsha M. Linehan (2001), il nucleo patognomico del disturbo sarebbe identificabile nella disfunzionalità del sistema di regolazione delle emozioni. La vulnerabilità emotiva del soggetto, di natura biologica (alta sensibilità agli stimoli ambientali, notevole intensità delle emozioni e lento ritorno allo stato emotivo di base) si troverebbe in interazione reciproca e circolare con un ambiente invalidante, un ambiente cioè in cui l’espressione dei propri stati interni, non solo non viene riconosciuta e validata, ma spesso non considerata o addirittura punita, con conseguenze fortemente perturbanti sulla capacità di riconoscere e gestire il proprio mondo emozionale. A partire da un’impostazione teorica di tipo cognitivo-comportamentale, organizzata sulla base dei postulati fondamentali della filosofia dialettica, M. M. Linehan interpreta le manifestazioni del disturbo borderline come un fallimento nella capacità dell’individuo di sintetizzare aspetti antitetici e paradossali della realtà, e considera compito della terapia quello di contribuire alla costruzione di nuovi significati, in grado di sbloccare e ridare stimolo al percorso evolutivo psicologico della persona.


Ancora, in ambito cognitivo-comportamentale, Beck e collaboratori (1990, 1996) hanno individuato il centro della patologia nell’espressione di tre postulati mentali: l’idea che il mondo sia malevolo e pericoloso, la convinzione di essere particolarmente fragili e vulnerabili, e infine il pensiero di essere inaccettabili e perciò destinati all’abbandono.


Per quanto riguarda i modelli teorici elaborati in ambito psicoanalitico, mentre Kernberg, come abbiamo visto, descrive il disturbo nucleare come conflitto in grado di attivare la scissione difensiva di rappresentazioni di sé e dell’oggetto in coppie polarizzate, altri autori hanno evidenziato aspetti di deficit alla base della condizione borderline: deficit nello sviluppo narcisistico (Kohut, 1971); mancanza di rappresentazione di un oggetto interno con funzione di holding (Adler e Buie, 1979); carenza nello sviluppo delle funzioni metacognitive (Fonagy e coll., 2002); deficit nelle doti di accoglienza materna come attivatore di un conflitto tra bisogni esplorativi e bisogni di protezione (Masterson e Rinsley, 1975).


Ad una prima analisi, l’approccio eziopatogenetico sembra delineare il disturbo borderline secondo modalità differenti e apparentemente inconciliabili. Tuttavia un’interessante proposta integrativa proviene da G. Liotti (1994), che invita a considerare come, alla base di disturbi nucleari tanto diversi, possa esservi un elemento di sviluppo comune, ossia la modalità di “attaccamento disorganizzato” e i corrispondenti “modelli operativi interni”che ne derivano . Tale tipologia di attaccamento si differenzia da altre possibili forme (attaccamento sicuro, evitante, resistente), per la particolare incoerenza dei vissuti interiori e dei comportamenti del bambino nei confronti della figura di attaccamento, rilevabili attraverso lo strumento della “strange situation” (Ainsworth, 1978).


Alcuni studi hanno evidenziato una correlazione tra lo stile di attaccamento disorganizzato e l’esistenza di lutti o traumi non elaborati nel genitore, che possono renderlo imprevedibile, violento o semplicemente spaventato. Genitori “frightened/frightening”, cioè “spaventati e che incutono paura” (secondo la definizione di Main e Hesse, 1990, 1992), possono attivare nel bambino un conflitto insolubile tra il bisogno di vicinanza protettiva e il bisogno di allontanamento dal genitore divenuto fonte di pericolo. I “Modelli Operativi Interni” (“Internal Working Models”, Bowlby, 1976), strutture della memoria implicita contenenti la rappresentazione della relazione sé-genitore e responsabili dello specifico stile di attaccamento, oscillano in modo incoerente nello stile di attaccamento disorganizzato fra coppie polari formate da "salvatore", "persecutore" e "vittima". É evidente, dunque, la possibile analogia fra il concetto di scissione delle rappresentazioni oggettuali proposto da Kernberg e lo stile polarizzato e contraddittorio dei modelli operativi interni caratteristici dello stile disorganizzato di attaccamento. Inoltre, alcune ricerche su bambini in età scolare con questo tipo di attaccamento genitoriale, hanno rilevato una correlazione con un ridotto o disfunzionale utilizzo delle capacità metacognitive, funzioni che sono anche il prerequisito della possibilità di regolare le emozioni.


In sintesi, un modello che descriva la condizione borderline individuando il concetto di attaccamento disorganizzato come nucleo eziopatogenetico, sembra essere compatibile tanto con le principali interpretazioni di matrice psicoanalitica, quanto con quelle cognitivo-comportamentali.


Tuttavia, pur potendo essere eletto a disturbo nucleare della patologia borderline, lo stile di attaccamento disorganizzato non è necessariamente l’unico fattore di rischio contemplabile. Alcuni studi sembrano infatti evidenziare complessivamente cinque possibili fattori eziopatogenetici: danni cerebrali, prevalentemente a livello della regione orbito-limbico-frontale, caratteristiche di predisposizione genetica, esposizione a modelli di comportamento disfunzionale in un ambiente familiare problematico, fattori endogeni o esogeni perturbanti il funzionamento cognitivo minimo necessario per la strutturazione evolutiva della personalità, fattori sociali come la disgregazione dei valori tradizionali caratteristica delle società occidentali attuali. É dunque importante sottolineare che, nel parlare di eziopatologia, non si può fare riferimento ad una semplicistica logica di causalità lineare, ma piuttosto ad un’interazione circolare multifattoriale, di tipo bio-psico-sociale (Paris, 1995).


In quest’ottica s’inserisce anche una visione del tutto peculiare della condizione borderline, quella del modello teorico analitico-esistenziale, che offre importanti concettualizzazioni e opportunità di confronto con le teorie a cui si è fatto precedentemente riferimento. Secondo l’approccio analitico-esistenziale di lingua tedesca – “Esistenzanalyse” – che fa capo ad Alfried Längle il DPB è un’entità diagnostica ben definita e distinguibile da altre. Essa si caratterizza primariamente sul piano dell’Io − essere se stesso −: essere una persona con propria autenticità e chiara identità. Il soggetto boderline cerca di superare questa mancanza attraverso la relazione con altre persone. La sofferenza della psicopatologia boderline è quella di un dolore insopportabile che crea una tensione vissuta come autodistruttiva in quanto annienta l’identità dell’Io e conseguentemente la sua personalità. Il vuoto esistenziale (dolore, sofferenza) riflette la mancanza di un intimo rapporto con se stesso. Il paziente non riesce a “sentirsi” basandosi esclusivamente su di sé “in modo autogeno” quando è solo e quindi stabilisce relazioni intense distorte e fluttuanti con altri o utilizza metodi autolesivi (es: tagliuzzarsi, ubriacarsi, vomitare). Diversamente dai pazienti isterici, narcisistici, paranoici il soggetto boderline non s’interessa a esprimersi attraverso fatti clamorosi, all’autostima, alla reciproca comprensione in una relazione interpersonale, però s’interessa di poter pervenire a sentire se stesso. Egli è intento a costruire attraverso la relazione con il proprio corpo, con la propria psiche o con altre persone un “self”, ma ciò è perseguito impulsivamente. Secondo il modello strutturale dell’analisi-esistenziale si tratta di un disturbo dell’autenticità (terza motivazione fondamentale: il tema dell’essere se stessi), unitamente alla tematica delle relazioni e dei sentimenti (seconda motivazione fondamentale: il tema della relazione con la vita). Al paziente piacerebbe vivere però non si sente legittimato, invitato, amato e in questo si riscontra il perdere se stesso che forma la base della scissione: vivere ma non sentirsi vivendo. La scissione non riguarda solo l’Io rispetto a se stesso ma l’Io rispetto al mondo. Egli riscontra un mondo diviso separato in parti contrapposte e contraddittorie come − a titolo esemplificativo genitori che hanno progetti e modalità educative nei confronti dei figli opposte −. Il suo Io è configurato nello stesso modo della sua rappresentazione della realtà: comunque divisi e inconsistenti. La sua reazione è agire per rispondere alla scissione. Diversamente dalla psicoanalisi la scissione non è motivo per lo sviluppo di una struttura boderline ma contrariamente è conseguenza di un’esperienza primaria di scissione di sé e della realtà. Lo sviluppo del boderline nell’AE non dipende dall’evolversi di strategie di difesa (come sostiene Kernberg) ma inizia da momenti esperienziali in modo fenomenologico. Il paziente vive soprattutto a livello immaginativo e fantasmatico e in questo modo decodifica la realtà; quando la realtà minaccia una sua costruzione immaginativa, sente il “self” in pericolo. Per proteggersi sceglie un’immagine opposta che porta alla ben conosciuta instabilità relazionale.


Anche l’AE ritiene possibili e osservabili concause predisponenti il disturbo: genetiche; malattie encefaliche o dipendenze come l’alcolismo; esperienze traumatiche come la mancanza dell’incontro con l’altro; le manipolazioni nelle relazioni parentali; la perdita di figure di riferimento fondamentali, del dialogo o violenze subite in fase evolutiva.



Racconti di soggetti Borderline 1


Io creo sogni, voi li uccidete.
Vorrei morire ubriaca per


vomitare davanti alle porte dell'inferno.








Sono Borderline



“Cercherò di spiegare in maniera molto semplice cosa significa essere borderline.
Borderline è come camminare su un filo sottile... sei in bilico e rischi sempre di cadere.
È autolesionismo, umore altalenante, disturbi dell'alimentazione, pensieri ambivalenti, paura dell'abbandono, scatti d'ira e rabbia repressa, richiesta di conferme continue, richieste di attenzioni, amore. È un gran casino in testa. Prima la pensi in un modo, dopo due secondi la pensi in un altro. E la tua felicità è in balìa degli altri. Borderline è avere un vuoto dentro che nessuna persona e nessuna cosa riuscirà mai a riempirti. É voler dare a tutti i costi un senso all'esistenza, ma non riuscire a trovarlo. É correre senza una meta, e non riuscire mai ad arrivare da nessuna parte, e le poche volte che ci riesci, ti accorgi che non ti basta, e allora continui a correre.”



Rabbia, fluttuazione, solitudine



“Io creo sogni, voi li uccidete. Vorrei morire ubriaca per vomitare davanti alle porte dell'inferno.”



1 Tutti i resoconti di soggetti borderline riportati sono veritieri e modificati solo a scopo di privacy e per rendere più fluide le strutture delle frasi. Conserviamo copia originale di ogni racconto.


“Il mio amico scoppia solitamente con chi ama. In un certo periodo della sua vita trattava malissimo me e i suoi familiari e, nel contempo, riusciva a essere amabile con i conoscenti.”



“Il nostro futuro è restare da soli. Per quanto mi riguarda mi sto già abituando all'idea. Non sto giustificando il mio comportamento, sia chiaro, ma è evidente che per colpa dei nostri problemi (soprattutto gli assurdi sbalzi d'umore) non potremmo mai avere una relazione stabile (sia d'amore


che d'amicizia). Chi sarebbe disposto a prendersi la briga di stare dietro a noi e a tutte le nostre paturnie? Nessuno, perché facciamo impazzire anche le persone più pazienti di questo mondo.”



“Persino la psicologa mi ha fatto capire che avere a che fare con me era veramente difficile. Allora, che ho fatto, gran testa di cavolo che sono (per non dire altro): invece di riflettere su questa cosa, e vedere di cambiare, me ne sono andato, scomparso, dalla terapia, con gran rammarico, anzi, direi disperazione. Inutile dire che anche nelle relazioni extra-terapia mi sono comportato male, avendo fatto soffrire diverse persone; senza contare i disastri sul lavoro, avendo preso decisioni d'impulso, che adesso non sto a raccontare, e che sono irreversibili. A volte penso che a soggetti come noi, come me, ci voglia un bel trauma, di quelli che gli facciano mettere con i piedi per terra: magari impareremmo a rispettare la gente, ed a rispettare noi stessi.”



Manipolazione e antisocialità.



“No! La manipolazione, come la chiamate voi, è un bisogno. Un bisogno d'amore. Faccio di tutto per piacere perché ho bisogno di colmare il vuoto che sento nel cuore. Il vuoto che si sente non è altro che una mancanza che si tenta di riempire, in qualunque modo, a qualunque costo. Una volta in una lettera scrissi: ...... se parlaste con un cieco, non potreste mai arrabbiarvi con lui perché non capisce quando provate a descrivergli il sole. È fisiologico non comprendere, almeno fino in fondo, certe situazioni per chi non c'è passato... ."



“Il tremendo bisogno d'amore che si ha dentro, porta a fare delle cose estreme. Non credo sia manipolazione. Non manipolo nessuno. Semplicemente ho un comportamento che porta gli altri ad assecondarmi. Non lo so perché. Una persona comune non basta, perché alla fine non si sa più dove si sta andando. Sembra sempre di esser fermi. E poi, il border ha bisogno di coinvolgimento. Se manca questo, allora manca tutto. Si ha sempre bisogno di input, di stimoli. La gente comune di solito le esprime le proprie emozioni. E io traccio la strada in base a queste.”



“Il border ha bisogno/desiderio/voglia di sentirsi diverso dagli altri. Lui non deve sentirsi un numero. Deve avere continuamente certezze, per questo a volte mette gli altri alla prova, manipola (consapevolmente o inconsapevolmente). Per chi è accanto é dura, lo so.”



“Io avevo un amico borderline che non faceva altro che descrivermi le sue ubriacature online nonché il suo procurarsi tagli. Un giorno è arrivato a scrivermi: ora mi taglio le vene . Non ci ho più visto e gli ho detto basta; non volevo più assistere a questi suoi momenti e non volevo essere sua complice, tanto quello che dicevo per aiutarlo non serviva a niente. Doveva rendersi conto di quello che stava facendo a me, rendendomi partecipe e impotente nell'osservare il suo momento di autolesionismo da lontano. So di essere stata molto estrema ma ero veramente al limite della sopportazione. Mi rendo conto che essere terapeuti di persone così deve essere molto difficile.”



“Non importa se il professor C., quando parla di antisociale sostenga proprio la similitudine tra borderline criminali; per me è fantasiosa. Il tratto peculiare che contraddistingue il paziente antisociale dal paziente borderline è la mancanza di rimorso, del senso di colpa. Un paziente spesso freddo nel racconto dei dettagli anche di eventuali atti violenti se non addirittura di omicidi singoli o seriali. Tendono a mostrare un comportamento irritabile e aggressivo verso gli altri e ad essere cinici e sprezzanti nei confronti dei sentimenti e delle sofferenze altrui. Cosa che nel borderline non succede affatto. Ecco, adesso ditemi cosa c'entra l’antisocialità. Prima sull'autobus stavo pensando che siamo sì criminali, ma di noi stessi; facciamo male soltanto a noi. Secondo me.”



“Forse gli unici tratti uguali sono l'impulsività e l'irresponsabilità. Ma non mi puoi paragonare un borderline a un criminale. Ok, ma non tutti! Ognuno è un mondo a sé; c'è chi lo fa e chi no.
Io personalmente non mi considero una criminale.... ancora no.”



“Puoi mandarmi anche il Papa. Criminale o non criminale, non è questo il punto! Dietro, ti assicuro che c'è molto di più. Ma se ci si fissa su criminale, sì o no ?, il resto - che è molto più importante - lo si tralascia.”



Ho avuto una relazione con un ragazzo diagnosticato borderline. Inizialmente: affetto, premura attenzioni continue. Era sempre lui che chiamava e decideva le uscite. La prima volta che gli ho chiesto io di uscire, ha accettato con fatica e durante la serata ha mostrato continue oscillazioni d’umore repentine. Alla fine della serata mi ha detto di non volere niente di serio con me. Dopo un po’ di tempo mi ha chiamato e ci siamo riappacificati. Da allora le fluttuazioni sono state quotidiane profonde e dolorose. La gamma delle sue reazioni è stata piuttosto vasta: è colpa tua [epiteti non trascrivibili] devi morire ; sinché una notte è piombato a casa mia ed ha iniziato a tagliarsi gambe, schiena e petto. Dopo un ricovero in psichiatria si è riavvicinato a me ma continua ad offendermi pesantemente con i soliti epiteti. Ora non mi vuole più vedere. Smetto di scrivere perché sono sfinita. So che la mia è una domanda sciocca, ma cosa devo fare?”



“Ho conosciuto una donna di 34 anni affetta da questo disturbo e mi sono lasciato trascinare in una relazione. Nei primi mesi nonostante difficoltà e con molta pazienza le cose procedevano abbastanza bene e il suo stesso psichiatra aveva riferito miglioramenti intercorsi alla relazione in quanto non era un codipendente ma una figura importante. Un mese fa mi lascia improvvisamente ed ha via, via sviluppato sintomi gravi di depersonalizzazione, depressione e abbuffate giornaliere. Ho cercato di avvicinarmi a lei ma la sua risposta consiste nel dire che la mia presenza nella sua vita le impedisce di ritrovarsi e di imparare ad amarsi. L’istinto di conservazione mi dice di mollare tutto ma poi so che vivrei una vita di sensi di colpa e di rimorso. Quello che non riesco a capire è per quale motivo lei ha interrotto la relazione visto che questa l’aveva migliorata; ho pensato che il motivo fosse il doversi confrontare con una persona che non riusciva a dominare e che però al tempo stesso non dominava lei. Continuo a porgermi mille domande ma non trovo le risposte.”



“Sono amico da molti anni di un uomo diagnosticato boderline. Condividiamo un aspetto fondamentale: l’omosessualità. Lui da sempre pronuncia frasi-macigno nei miei confronti per umiliarmi. In molte occasioni si è lasciato sfuggire senza intenzionalità frasi che mi hanno profondamente umiliato. L’avrei preso a schiaffi se non avessi saputo della sua situazione mentale. L’ultimo episodio: ci eravamo dati appuntamento sotto l’organo istituzionale per il quale lavora e quando è arrivato mi ha detta carinamente che sarebbe meglio incontrarci altrove perché i suoi superiori non vogliono che si faccia vedere con gente estranea. Tutto questo scrupolo non gli impedisce di mettere annunci con foto su siti hard e di fare la cronistoria dei suoi incontri sessuali.


Non so più come comportami!”




Il Borderline e gli Psicologi



“Gli psicologi non fanno trasparire quasi nulla. E questo fa inc*. Scioglietevi. Si ha una grande paura di sapere cosa veramente provate, quello che vi suscitiamo. Un po' per narcisismo, un po' per sapere come procedere. È un macello ragazzi. Ora io sto scrivendo un sacco di cose, ma chi lo sa che sia così per tutti. Insomma, le regole del setting con il border bisognerebbe eliminarle. Ecco, appunto... ho estremizzato, non eliminarle ma almeno alleggerirle.”



“Secondo me un pericolo per lo psicoterapeuta quando tratta con un soggetto con questo tipo di disagio, è quello di rischiare di andare continuamente fuori pista e magari infrangere anche qualche


regola, a volte, senza nemmeno accorgersene. Allora scrivo, senza freni. Però, come L., mi piacerebbe leggere anche il parere di altri che sono stati diagnosticati borderline. L. una volta si domandava e mi chiedeva: come facciamo ad aiutarvi ? Dovete venirci incontro. Mi spiego. Parlo per me, però, poi non so se è il pensiero di chiunque. Non basta una psicoterapia normale. Secondo me non serve a niente con i borderline. Si vuole tutto e subito e la psicoterapia normale richiede molto tempo, addirittura anni. Per quanto mi riguarda, se non vedo un miglioramento subito, penso che non serva a niente. Quindi si smette perché ci si stufa. Poi c'è l'incostanza. Una volta si va, un'altra volta no. Dipende come tira il vento. E per questo si conclude ben poco. Poi ci sono le certezze. Ci si aspetta continuamente un segnale del vostro affetto. Bisogna avere la certezza che lo fate perché davvero ci tenete, e non per i soldi. Si ha la presunzione di voler essere unici e quindi si fa di tutto per farsi ricordare e inevitabilmente ci si riesce. Non so come ma si riesce sempre. Perché si esagera e perché in fondo si è davvero particolari. Difficili ma teneri. Anche nell'aggressività. Non lo so cos'è che attrae... ma ci si affeziona sempre. Una psicoterapia normale con questo tipo di paziente non può andare. Ormai ho la certezza. Perché ci si vuole sentire particolare, diversi da tutti gli altri pazienti, ma soprattutto amati al cento per cento. Quindi perché non dare uno strappo alla regola? Che ne so un'uscita a mangiare una pizza insieme. Sai che giovamento? E intanto si parla ma non sembra di essere a un interrogatorio? Sarebbe più soft, non sarebbe così pesante come le sedute. E poi, perché non dite le vostre emozioni? E tutto quello che vi passa in mente. Lasciatevi andare... male che vada ferite; a volte la sincerità smonta, ma fa anche bene perché apre gli occhi. Ecco, si ha bisogno di qualcuno che ci apra gli occhi, ma in fretta, altrimenti passa la voglia. Si ha bisogno di un rapporto speciale, non monotono. Ma così si va contro le regole del setting e allora vaff.*. Non lo so, è veramente un macello. Restano i farmaci, ma c'è chi non li vuole prendere, anche se ne avrebbe bisogno. É dura, me ne rendo conto perché si ha di fronte la bellezza di vari problemi da gestire. Sono tante sfaccettature messe insieme: problemi col cibo, autolesionismo, rabbia, ipersensibilità, problemi d'identità, incostanza, umore altalenante eccetera. Ci si perde. Insieme, purtroppo. Bisognerebbe capire da dove iniziare e dove andare. Ma non è escluso che sistemata una cosa, mentre stai sistemando un altro punto, si sbilancia la parte in precedenza sistemata.”



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