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Circolare Agenzia Entrate n. 51 del 06.10.2010 - Disciplina relativa alle controlled foreign compan

Circolare Agenzia Entrate n. 51 del 06.10.2010

Disciplina relativa alle controlled foreign companies (CFC) - Dividendi provenienti e costi sostenuti con Stati o territori a fiscalità privilegiata - Chiarimenti
Agenzia delle Entrate
Circolare n. 51 del 06.10.2010


Indice

1. Premessa
2. La disciplina cfc
3. Prima esimente
3.1. Il nuovo comma 5-bis
4. Seconda esimente
5. Stati o territori inclusi nella “white list” di cui all’articolo 168-bis del tuir: estensione della cfc rule
5.1. La condizione della “tassazione effettiva inferiore a più della metà” della corrispondente tassazione italiana
5.2. La disapplicazione del comma 8-bis: l’esimente della “costruzione di puro artificio”
6. Modalità di presentazione dell’istanza di interpello
6.1. Documentazione da allegare all’istanza di interpello disapplicativo
7. Entrata in vigore della “nuova” disciplina cfc
8. La disciplina dei dividendi provenienti da stati o territori black list
8.1. Holding: individuazione degli utili “provenienti” da paradisi fiscali
8.2. Decorrenza della modifica normativa di cui all’articolo 36 del d.l. n. 223/2006
8.3. Coordinamento della disciplina di cui agli articoli 167 e 168 del tuir con altre norme relative a società black list
9. Disciplina relativa ai costi da black list
9.1 ambito soggettivo
9.2 ambito oggettivo
9.3 esimenti
9.4 rapporti con la cfc rule

1. PREMESSA
Nell’ambito della strategia di contrasto agli arbitraggi fiscali internazionali, l’articolo 13 del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78 , convertito (con modificazioni) con legge 3 agosto 2009, n. 102, ha apportato importanti modifiche alla normativa CFC (Controlled Foreign Companies), di cui all’articolo 167 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito “Tuir”).
A tal fine, l’attenzione del legislatore si è concentrata sulle operazioni infragruppo poste in essere tra imprese residenti e proprie partecipate, situate in Paesi o territori a bassa fiscalità, le quali possono determinare la “distrazione” dell’utile dall’Italia verso regimi fiscali esteri più favorevoli, che spesso non consentono un effettivo e adeguato scambio di informazioni.
Ne è seguita una modifica della disciplina CFC che - in un’ottica spiccatamente antielusiva - è volta a garantire “l’effettività sostanziale” della società o ente non residente controllato. Ciò a tutela e vantaggio non solo delle ragioni erariali, ma anche di quei contribuenti residenti che, per effettive ragioni commerciali, geografico - logistiche o strategiche, investono in Stati o territori con regimi fiscali più favorevoli.
Coerentemente con tali finalità:
- è stata sostituita la lettera a) del comma 5 dell’articolo 167 del Tuir con una previsione volta ad affermare che, per la disapplicazione della disciplina antielusiva in commento, è necessario dimostrare che il soggetto estero partecipato svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, “nel mercato dello Stato o territorio di insediamento”;
- è stato introdotto nell’articolo da ultimo menzionato un nuovo comma 5-bis, che esclude l’ordinaria applicazione dell’esimente di cui alla citata lett. a), qualora i proventi della società estera partecipata siano costituiti per oltre il 50 per cento da passive income o derivino dalla prestazione di servizi infragruppo.
Inoltre, in adesione all’invito formulato dalla Commissione Europea agli Stati membri di “rivedere le loro norme antielusione” (COM (2007)785def del 10 dicembre 2007) con riferimento a soggetti che si avvalgono in altri Stati di costruzioni di puro artificio, sono stati introdotti nell’articolo 167 del Tuir i nuovi commi 8-bis e 8-ter che, tuttavia, non si applicano alle società estere collegate di cui all’articolo 168 del Tuir.
In particolare, il comma 8-bis estende la disciplina CFC anche ai soggetti controllati residenti in Stati o territori compresi nell’emanando decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’articolo 168-bis del Tuir (c.d. white list).
L’estensione opera a condizione che la controllata estera benefici di una tassazione particolarmente privilegiata (nella specie inferiore di oltre la metà rispetto a quella cui sarebbe stata soggetta qualora residente in Italia) e sempre che abbia conseguito in prevalenza passive income o proventi derivanti dalla prestazione di servizi infragruppo. In altri termini, con l’introduzione della disposizione in commento, si estende l’applicazione della normativa CFC a tutti gli insediamenti esteri che siano espressione di fenomeni elusivi indipendentemente dal territorio di insediamento.
Al verificarsi delle predette condizioni, il nuovo comma 8-ter assicura comunque al socio controllante residente la possibilità di dimostrare, mediante la procedura di interpello di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 , che la propria controllata estera non rappresenta “una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale”.
Con la presente circolare, si intende fornire un quadro aggiornato della disciplina in materia di CFC, con particolare riguardo alle modifiche da ultimo introdotte dall’articolo 13 del d.l. n. 78 del 2009, con ciò significando che devono ritenersi superati i precedenti chiarimenti forniti in materia qualora in contrasto o non compatibili con le presenti istruzioni.
L’esame verterà, inoltre, su alcune tematiche collegate all’argomento in commento, quali l’imposizione degli utili da partecipazione provenienti da Stati o territori a fiscalità privilegiata e la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate nei predetti Stati o territori.

2. LA DISCIPLINA CFC
Al ricorrere dei presupposti previsti dall’articolo 167 del Tuir, l’applicazione della disciplina CFC comporta la tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante residente nel territorio dello Stato dei “…redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato…” residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis (c.d. white list).
Tale ultimo decreto (da emanarsi da parte del Ministro dell’economia e delle finanze) dovrà individuare i c.d. “Paesi o territori virtuosi”, ovvero gli Stati o territori “che consentono un adeguato scambio di informazioni e nei quali il livello di tassazione non è sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia” (cfr. articolo 168-bis, comma 2, del Tuir).
Nelle more dell’emanazione di tale decreto e fino alla sua entrata in vigore (prevista per il periodo d’imposta successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) continuano, in ogni caso, ad applicarsi le disposizioni vigenti sino al 31 dicembre 2007 (cfr. articolo 1, comma 88 , della legge 24 dicembre 2007, n. 244).
Al momento, dunque, la normativa CFC continua ad applicarsi con riferimento all’elenco di cui al decreto ministeriale 21 novembre 2001 (c.d. black list) che individua i Paesi o territori a regime fiscale privilegiato “in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti”.
La norma di cui al citato articolo 167 - con esclusione di quanto previsto dal comma 8-bis - si applica “(…) anche nel caso in cui il soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, una partecipazione non inferiore al 20 per cento agli utili di un'impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori… - vale a dire a fiscalità privilegiata -...; tale percentuale é ridotta al 10 per cento nel caso di partecipazione agli utili di società quotate in borsa” (cfr. articolo 168, comma 1, del Tuir).
A prescindere da elementi di natura meramente formale (sulla base dei quali, ad esempio, potrebbe determinarsi la residenza della società estera), nonché dal regime fiscale della partecipata nel Paese estero, si ricorda che il soggetto partecipato “consegue” redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata ogniqualvolta gli stessi derivino da una fonte produttiva ivi localizzata.
Nel caso in cui tra il socio residente e il soggetto estero partecipato intercorre un rapporto di controllo, i redditi della CFC sono determinati secondo le disposizioni del Titolo I, Capo VI, del Tuir (vale a dire secondo le regole ordinariamente previste per la determinazione del reddito d’impresa), nonché secondo le norme comuni del titolo IV (ora titolo III) e quelle degli artt. 84, 111 e 112 del medesimo Tuir.
Ne consegue che se nel corso dell'esercizio la società o ente black list percepisce dividendi da proprie partecipate estere residenti o localizzate in Paesi o territori diversi da quelli di cui al D.M. 21 novembre 2001, tali proventi concorrono a formare il reddito della CFC ai sensi dell'articolo 89, comma 2, del Tuir, cioè nella misura del 5 per cento.
Ai fini della determinazione del reddito della CFC, non trovano invece applicazione le disposizioni in materia di imponibilità frazionata delle plusvalenze di cui all’articolo 86, comma 4, del Tuir.
Nella particolare ipotesi in cui tra il socio residente e il soggetto estero partecipato intercorra un rapporto non di controllo, bensì di collegamento in misura almeno pari alle percentuali (calcolate con riferimento alla partecipazione agli utili) di cui all’articolo 168 del Tuir, i redditi della CFC oggetto di imputazione sono determinati per un importo corrispondente al maggiore fra:
- l'utile prima delle imposte risultante dal bilancio redatto dalla partecipata estera anche in assenza di un obbligo di legge;
- un reddito induttivamente determinato sulla base di coefficienti di rendimento riferiti alle categorie di beni che compongono l'attivo patrimoniale della partecipata estera.
I coefficienti in questione sono i seguenti:
- 1 per cento sul valore dei beni indicati nell'articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), anche se costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;
- 4 per cento sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell'articolo 8-bis , comma 1, lettera a), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria;
- 15 per cento sul valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria.
Il reddito della CFC, sia essa controllata che collegata, è assoggettato a tassazione separata dai soggetti partecipanti residenti con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo netto e, comunque non inferiore al 27 per cento (cfr. articolo 167, comma 6, del Tuir e articolo 3, comma 1, del D.M. 7 agosto 2006, n. 268 ). Se risulta una perdita, questa è computata in diminuzione dei redditi della stessa CFC ai sensi dell’articolo 84 del Tuir (e non dei redditi dei soggetti partecipanti).
Il reddito della CFC tassato per trasparenza in capo al socio italiano incrementa il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione nell’impresa non residente. Tale costo è diminuito – fino a concorrenza dei redditi precedentemente tassati per trasparenza – dei dividendi distribuiti dalla controllata estera.
Ai sensi dell’articolo 167, comma 7, del Tuir, i dividendi distribuiti dalla CFC “…non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all'ammontare del reddito assoggettato a tassazione, …., anche negli esercizi precedenti”.
La tassazione per trasparenza dei redditi prodotti dalla controllata estera black list viene meno nel caso in cui il soggetto controllante residente chieda ed ottenga la disapplicazione della disciplina in esame.
Al riguardo, il comma 5 dell’articolo 167 del Tuir prevede due condizioni di disapplicazione, operanti in modo autonomo ed indipendente l’una dall’altra.
La prima condizione (c.d. prima esimente) si verifica quando il soggetto controllante residente dimostra che la partecipata estera svolge “un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest'ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento” [cfr. articolo 167, comma 5, lettera a), del Tuir].
La seconda condizione (c.d. seconda esimente) ricorre quando il soggetto controllante residente dimostra che dal possesso delle partecipazioni non consegue “…l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis” [cfr. articolo 167, comma 5, lettera b), del Tuir].
La dimostrazione di una (o entrambe) delle predette esimenti va fornita - relativamente a ciascuna partecipata estera - in sede di interpello, da presentarsi secondo le modalità di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, che disciplina il c.d. interpello ordinario.
Il parere positivo a fronte della dimostrazione della sussistenza della seconda esimente rileva anche ai fini della disapplicazione dei regimi:
- di cui agli articoli 47 , comma 4, e 89, comma 3, del Tuir, relativi alla tassazione integrale dei dividendi provenienti da soggetti residenti o localizzati in Stati o territori black list;
- di cui agli articoli 68 , comma 4, e 87, comma 1, lettera c) del medesimo Tuir, relativi alla tassazione integrale delle plusvalenze realizzate su azioni o quote di partecipazione nei predetti soggetti.
Si rammenta che al fine della disapplicazione dei regimi di cui ai punti precedenti, il socio residente è, in ogni caso, tenuto a fornire la prova che fin dall’inizio del periodo di possesso delle partecipazioni non è stato conseguito l’effetto di delocalizzare i redditi in Stati o territori black list [cfr. articolo 87, comma 1, lettera c), del Tuir richiamato dagli articoli 47, comma 4, 68, comma 4, e 89, comma 3, del medesimo T.U.].
Concorrono, comunque, per l’intero alla formazione del reddito imponibile del soggetto residente i dividendi “provenienti” da una società black list in relazione alla quale il medesimo soggetto abbia richiesto e ottenuto la disapplicazione della normativa CFC a seguito della dimostrazione della prima esimente.
Il riconoscimento della sussistenza della prima circostanza esimente, inoltre, non consente l’applicazione dei regimi di cui agli articoli 68, comma 4, e 87 del Tuir: pertanto in caso di cessione della partecipazione nella società black list, l’eventuale plusvalenza concorrerà interamente alla formazione del reddito imponibile del socio residente.

3. PRIMA ESIMENTE
Ai sensi della novellata lett. a) del comma 5 dell’articolo 167 in commento, la disciplina CFC non si applica se il contribuente residente in Italia dimostra - in sede di interpello - che “la società o altro ente non residente svolge un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest'ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento”.
Nel rispetto delle finalità antielusive della disciplina in esame, la disposizione sopra riportata stabilisce che per la dimostrazione della prima esimente il socio residente nel territorio dello Stato deve provare il radicamento della propria partecipata nel Paese o territorio estero di insediamento, oltre ovviamente alla disponibilità in loco da parte della stessa di una struttura organizzativa idonea allo svolgimento dell’attività commerciale dichiarata, dotata peraltro di autonomia gestionale.
In altri termini, allo scopo di escludere l’artificiosità della struttura estera, il radicamento diventa un elemento rilevante per provare che la CFC svolge nel territorio in cui è localizzata un’effettiva attività industriale o commerciale.
Ne consegue che per invocare la prima esimente la disponibilità in loco da parte della società estera di una struttura organizzativa idonea - richiesta dall’articolo 5, comma 3, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 - è condizione necessaria, ma può risultare non sufficiente.
Infatti, la disponibilità di una struttura organizzativa idonea dimostra unicamente la presenza fisica della partecipata estera nel territorio ospitante e non anche che quest’ultima svolge effettivamente in loco un’attività industriale o commerciale.
In linea di principio, per radicamento (i.e. collegamento con il “mercato dello stato o territorio di insediamento”) deve intendersi il legame economico e sociale della CFC con il Paese estero e, quindi, “…la sua intenzione di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato…- (omissis) - diverso dal proprio e di trarne vantaggio…” (Sentenza Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, punto 53, c.d. sentenza Cadbury Schweppes).
In concreto, il riferimento al “mercato” è normalmente da intendersi come collegamento al mercato di sbocco o al mercato di approvvigionamento.
Pertanto la circostanza che la CFC non si rivolge al mercato locale né in fase di approvvigionamento, né in fase di distribuzione, costituisce un indizio del mancato esercizio da parte della stessa di un’effettiva attività commerciale nel territorio di insediamento.
Tuttavia, tale ultima circostanza non impedisce di valorizzare anche altri elementi eventualmente prodotti dal contribuente a supporto della richiesta disapplicativa. In sede di trattazione delle istanze, ad esempio, potrà darsi rilievo alle ragioni economiche-imprenditoriali che hanno portato l’impresa residente a investire nello Stato o territorio a fiscalità privilegiata.
Per le attività bancarie, finanziarie e assicurative, il collegamento con il mercato dello Stato o territorio di insediamento si ricava – secondo il dettato normativo - dall’origine delle fonti, degli impieghi o dei ricavi.
Più in particolare, per quanto riguarda le assicurazioni, in considerazione delle peculiarità dell’attività in esame, si ritiene che ai fini della verifica del requisito del radicamento rilevi in via generale la residenza degli assicurati e il luogo di ubicazione dei rischi: ciò nel presupposto che il territorio nel quale sono ubicati i rischi assicurati comporta necessariamente lo svolgimento in loco di alcune fasi preminenti dell’attività assicurativa, come, ad esempio, quelle di stima e valutazione dei rischi coperti, accertamento e valutazione del danno, nonché dell’eventuale contenzioso.
In ogni caso, per assumere rilevanza ai fini in esame, il collegamento con il mercato di sbocco o di approvvigionamento deve essere significativo anche per le altre attività. Coerentemente con quanto previsto per le attività bancarie, finanziarie e assicurative, si può considerare significativa una percentuale di “acquisti” o di “vendite” sul mercato locale del territorio di insediamento superiore al 50 per cento.
Con specifico riferimento alle banche, finanziarie e assicurazioni, la condizione richiesta dalla lettera a) del comma 5 in commento si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti (con i connessi costi) e degli impieghi (con i connessi ricavi) originano nello Stato o territorio di insediamento. Resta inteso, come in precedenza chiarito, che la mancanza di uno o entrambi dei suddetti requisiti non preclude la possibilità di dimostrare la sussistenza della prima esimente sulla base di altri elementi.
In ultimo, si fa presente che il “…mercato dello stato o territorio di insediamento” non coincide necessariamente con i confini geografici del Paese o territorio in cui la partecipata ha sede: in determinate fattispecie, infatti, la valutazione del “mercato” rilevante della CFC va necessariamente estesa all’area geografica circostante, legata allo Stato di insediamento da particolari nessi economici, politici, geografici o strategici (c.d. area di influenza della CFC).

3.1 Il nuovo comma 5-bis
Nell’articolo 167 del Tuir è stato introdotto il nuovo comma 5-bis in base al quale la prima esimente non può essere invocata qualora “…i proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall'investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l'ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari".
In virtù della norma appena richiamata, l’Amministrazione finanziaria può negare la disapplicazione della disciplina CFC in base alle condizioni previste dall’articolo 167, comma 5, lett. a) del Tuir, quando, a prescindere dalla valutazione di ogni altro elemento, i proventi di detta società o ente non residente per più (> ) del 50 per cento derivano dalla:
- gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie (es. dividendi, plusvalenze, interessi attivi, commissioni);
- dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica (es. royalties);
- dalla prestazione di servizi infragruppo, ivi compresi i servizi finanziari (es. servizi di contabilità, di tesoreria accentrata o di consulenza).
Tale disposizione è finalizzata a contrastare le politiche di delocalizzazione dei passive income attuate mediante la collocazione, in Paesi a fiscalità privilegiata, degli asset produttivi di detti redditi. A tal fine, sono attratti a tassazione in Italia quei redditi che solo formalmente sono prodotti all’estero, mediante la creazione, in territori a fiscalità privilegiata, di società formalmente autonome, che sostanzialmente svolgono attività di sfruttamento passivo di asset in grado di per sé, ovvero per le loro caratteristiche intrinseche, di produrre reddito (c.d. società senza impresa).
Si ritiene che la norma in esame vada interpretata coerentemente con i principi comunitari in materia di antiabuso. Tali principi riconoscono al contribuente, cui si applicano particolari disposizioni nazionali che individuano delle soglie al di là della quali il rischio di abuso diventa più elevato, la possibilità di dimostrare il contrario [cfr. Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea sul coordinamento delle norme sulle società estere controllate (SEC) e sulla sottocapitalizzazione nell’Unione europea, dell’8 giugno 2010, pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C156 del 16 giugno 2010].
Ne consegue che i limiti introdotti dal comma 5-bis in esame vanno visti quali soglie al superamento delle quali si presume – salvo prova contraria - che la partecipata estera sia una società senza impresa nel senso prima chiarito.
La prova contraria va fornita preventivamente in sede di interpello da presentarsi ai sensi dell’articolo 167, comma 5, del Tuir, che sul punto richiama l’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
In tale sede, l’esame dell’Amministrazione finanziaria sarà diretto a verificare non solo la sussistenza degli elementi normalmente rilevanti ai fini della disapplicazione della disciplina CFC per il ricorrere della prima esimente (i.e. effettività sostanziale della struttura estera e dell’attività dalla stessa svolta nel mercato dello Stato o territorio di insediamento), ma anche la mancanza – nel caso specifico - di intenti o effetti elusivi finalizzati alla distrazione di utili dall’Italia verso Paesi o territori a fiscalità privilegiata.
Non può non rilevarsi, infatti, che la partecipata estera che si trovi nelle condizioni del comma 5-bis è per espressa previsione normativa in una situazione in cui il rischio di abuso è potenzialmente più elevato.
Per tale motivo, quindi, il legislatore ha posto il presidio speciale della disposizione in esame che da un lato consente all’Amministrazione finanziaria di negare la disapplicazione della CFC rule sulla base della mera constatazione dei parametri quantitativi ivi previsti, dall’altro richiede al contribuente di fornire elementi di prova più stringenti rispetto a quelli ordinariamente richiesti ai fini della dimostrazione della sussistenza della prima circostanza esimente.
In linea di principio, l’obbligo di interpello sussiste per tutte le CFC che presentino le caratteristiche prima evidenziate.
Non si ritiene, infatti, di poter escludere dalla valutazione preliminare, da condurre appunto in tale sede, determinate realtà imprenditoriali in ragione dell’astratta mancanza di caratteristiche idonee a conseguire fenomeni elusivi.
E’ il caso, ad esempio, delle CFC che operano essenzialmente nei confronti di consociate non residenti (cioè estero su estero).
Ciò non toglie, ovviamente, che tali circostanze possano ricevere adeguata e concreta valorizzazione in sede di analisi dell’istanza di interpello.
Allo stesso modo, ai fini della disapplicazione del comma 5-bis in commento, potrà, tra l’altro, essere tenuta in considerazione la circostanza che determinate attività (ad esempio, di gestione finanziaria) – ritenute dal legislatore potenzialmente produttive di passive income - vengano svolte o meno nell’ambito del c.d. core business.
Ciò posto, si fa presente che per l’applicazione della norma in esame, la nozione di gruppo si ricava dall’articolo 167, comma 3, del Tuir secondo cui per la determinazione del limite del controllo “…si applica l’art. 2359, commi 1 e 2, del codice civile, in materia di società controllate e collegate”.
In ogni caso, ai fini della verifica del superamento o meno della soglia del 50 per cento, il contribuente deve considerare tutti i proventi lordi conseguiti dalla CFC, sia ordinari che straordinari.
La verifica del superamento della suddetta soglia deve essere effettuata di anno in anno a cura del contribuente, a prescindere dalla circostanza che abbia già ottenuto parere favorevole alla disapplicazione della disciplina CFC per il ricorrere delle condizioni di cui al comma 5, lett. a) dell’articolo 167 del Tuir.
La documentazione da cui risulta l’esito di tale verifica deve essere conservata a cura del contribuente ai fini dell’esibizione in sede di eventuali controlli.
Ciò comporta che se nei confronti di una partecipata estera, per l’esercizio 2010, è stata riconosciuta la disapplicazione della disciplina CFC sulla base della prima esimente, e la medesima società nel periodo d’imposta 2011 ricade nell’ambito di applicazione del comma 5-bis in commento, per quest’ultimo esercizio il contribuente residente deve presentare una nuova richiesta di disapplicazione dimostrando – nel senso prima chiarito - la mancanza di intenti o effetti elusivi collegati all’insediamento estero.
Se poi, in un esercizio successivo (es. 2013), i passive income rientrassero nella “soglia” del 50 per cento, la società non dovrebbe presentare una nuova istanza di interpello, tenuto conto che la prova (“rafforzata”) fornita ai fini del comma 5-bis è sufficiente anche ai fini dell’articolo 167, comma 5, lett. a) del Tuir.
Con riferimento al medesimo esempio, si precisa, inoltre, che qualora la CFC superasse di nuovo il limite del comma 5-bis (ad esempio, nell’esercizio 2015), l’interpello andrebbe rinnovato solo nel caso in cui siano mutati gli altri elementi di fatto, che hanno determinato la precedente pronuncia dell’Amministrazione finanziaria.
In altri termini, la mera oscillazione del parametro quantitativo dei passive income non incide sulla validità del parere favorevole alla disapplicazione della CFC rule reso nei confronti di una partecipata estera che si è trovata nelle condizioni del comma 5-bis.
L’interpello va, invece, nuovamente presentato quando sono mutati gli altri presupposti di fatto in base ai quali il precedente parere è stato reso.

4. SECONDA ESIMENTE
Per poter invocare l’esimente di cui all’articolo 167, comma 5, lettera b), del Tuir (c.d. seconda esimente) il contribuente residente deve dimostrare che “dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis”.
Al riguardo, l’articolo 5, comma 3, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 prevede che “ ai fini della risposta positiva rileva, in particolare, nei riguardi del soggetto controllante autore dell’interpello, (…) il fatto che i redditi conseguiti da tali soggetti (le società o enti partecipati non residenti, n.d.r.) sono prodotti in misura non inferiore al 75 per cento in altri Stati o territori diversi da quelli [di cui al D.M. 21 novembre 2001, n.d.r.] (...) ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria (…) .Ai fini della medesima risposta positiva, nel caso di cui all'articolo 1, comma 1, ultimo periodo, del presente regolamento, rileva anche il fatto che i redditi della stabile organizzazione risultano sottoposti integralmente a tassazione ordinaria nello Stato o territorio in cui ha sede l'impresa, la società o l'ente partecipato ”.
Tale circostanza ricorre quando la CFC abbia prodotto direttamente redditi di fonte estera, in misura non inferiore al 75 per cento del totale, tramite, ad esempio, una stabile organizzazione o in virtù del possesso di cespiti immobilizzati, localizzati e sottoposti a tassazione fuori dagli Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Detta circostanza può ricorrere anche quando:
- la partecipata estera, pur avendo la sede legale in un Paese o territorio black list, svolge esclusivamente la propria principale attività, ovvero è fiscalmente residente ovvero ha la sede di direzione effettiva in uno Stato non compreso nella black list, nel quale i redditi da essa prodotti sono integralmente assoggettati a tassazione; oppure quando
- la partecipata estera è localizzata in uno Stato o territorio diverso da quelli a fiscalità privilegiata e opera in un tax haven mediante una stabile organizzazione, il cui reddito è assoggettato integralmente a tassazione ordinaria nello Stato di residenza della casa madre.
In ogni caso, le ipotesi di disapplicazione in base alla seconda esimente previste dal D.M. 21 novembre 2001, n. 429 devono considerarsi menzionate a titolo esemplificativo e non esaustivo.
In generale, si ritiene che, ai fini del riconoscimento dell’esimente in esame, assume rilevanza il carico fiscale complessivamente gravante sul gruppo societario in relazione ai redditi prodotti da una CFC appartenente al medesimo gruppo.
Tale parametro, infatti, è determinante per la verifica del rispetto sostanziale della ratio insita nelle disposizioni che regolano la seconda esimente, che è quella di garantire che i redditi prodotti dalla CFC siano tassati in misura congrua.
In particolare, la ratio della disposizione in esame va considerata in linea di principio soddisfatta quando il tax rate effettivo “complessivamente scontato” sui redditi prodotti dalla CFC risulti congruo rispetto al livello di imposizione vigente in Italia.
In altri termini, in caso di catene societarie che coinvolgano più Paesi, si ritiene che la suddetta condizione sia rispettata quando l’imposizione effettiva complessivamente gravante sull’utile ante imposte della CFC sia in linea con l’imposizione italiana, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o dagli Stati) in cui avviene detta tassazione.
Ciò presuppone un’indagine da condurre in ogni caso in sede di interpello, sulla base di un’idonea e circostanziata documentazione, che consenta all’Amministrazione finanziaria di verificare in maniera certa e incontrovertibile la sussistenza della predetta circostanza.
Inoltre, considerato che l’inclusione di uno Stato o territorio nella vigente black list è stata effettuata dal legislatore non solo in ragione del livello di tassazione effettivamente applicabile sul reddito delle società ivi residenti, ma anche della mancanza di un completo ed efficiente scambio di informazioni con l’Amministrazione finanziaria italiana, assume rilievo ai fini del riconoscimento dell’esimente in commento la presentazione di una documentazione idonea a dimostrare la sistematica distribuzione verso l’Italia dell’utile proveniente dalla CFC. Ciò, ovviamente, nel presupposto che risulti contemporaneamente verificata la precedente condizione, e cioè che l’imposizione effettiva complessivamente gravante sull’utile ante imposte della CFC sia congrua rispetto al livello di imposizione gravante in Italia, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o dagli Stati) in cui avviene detta tassazione.
La sistematica distribuzione dei dividendi, infatti, da un lato rafforza la dimostrazione della carenza di intenti elusivi, dall’altro immette l’utile prodotto dalla CFC in circuiti totalmente accessibili all’Amministrazione finanziaria italiana ai fini dell’acquisizione delle relative informazioni.
Si fa presente, inoltre, che se il tax rate effettivo complessivamente gravante sui redditi della partecipata estera fosse inferiore all’aliquota nominale delle imposte sul reddito vigente in Italia, detta circostanza di per sé non precluderebbe al contribuente la possibilità di invocare la disapplicazione della CFC rule per il ricorrere della seconda esimente.
In tale fattispecie va dato necessariamente rilievo anche alla tassazione effettiva che la CFC avrebbe subito qualora la stessa fosse stata localizzata nel territorio dello Stato, che, per ipotesi, potrebbe essere anch’essa inferiore alla tassazione ad aliquota nominale per effetto della concorrenza alla formazione dell’utile civilistico di redditi esenti o esclusi (ad esempio, dividendi, plusvalenze pex, ecc).
Pertanto, la seconda esimente può essere riconosciuta quando il tax rate effettivo complessivamente scontato sui redditi della partecipata estera risulta comunque congruo in relazione all’imposizione fiscale effettiva che l’utile della CFC avrebbe subito in Italia.
Ciò si verifica, ad esempio, in fattispecie quali quella della Tabella 1, dove è rappresentato il caso di una Holding localizzata in un paradiso fiscale, direttamente controllata da una società italiana, che detiene esclusivamente partecipazioni in società operative situate in Paesi white list, tassate in via ordinaria nei rispettivi Stati di localizzazione.

Tabella 1



In tale contesto, anche se il reddito della CFC è da considerarsi in linea di principio prodotto in un tax haven, ai fini in esame non può essere ignorata la circostanza che i dividendi distribuiti alla società italiana dalla Holding, in realtà derivano interamente da un reddito prodotto e tassato in via ordinaria in uno Stato white list, e che in caso di percezione diretta dei dividendi white list da parte di GAMMA (i.e. senza lo “schermo” black list), gli stessi avrebbero scontato ai fini IRES un’imposizione effettiva dell’1,375 per cento.
Il ricorrere di tali presupposti, ovviamente, va dimostrato mediante idonea documentazione da prodursi in sede di interpello disapplicativo.
In ogni caso, in considerazione della generale finalità antielusiva della disciplina in esame, risultante a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. n. 78 del 2009, si ritiene che il riconoscimento dell’esimente in esame non possa prescindere dalla dimostrazione – sempre in sede di interpello - che la struttura societaria alla quale appartiene la CFC non sia stata creata per fini di elusione fiscale.

5. STATI O TERRITORI INCLUSI NELLA “WHITE LIST” DI CUI ALL’ARTICOLO 168- BIS DEL TUIR: ESTENSIONE DELLA CFC RULE
L’articolo 167, comma 8-bis, del Tuir prevede che “la disciplina di cui al comma 1 trova applicazione anche nell'ipotesi in cui i soggetti controllati ai sensi dello stesso comma sono localizzati in Stati o territori diversi da quelli ivi richiamati, qualora ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
- sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti ove residenti in Italia;
- hanno conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall'investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l'ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari”.
L’obiettivo della disposizione in commento è quello di consentire l’applicazione della disciplina CFC nei confronti di controllate localizzate in Paesi o territori inclusi nell’emanando decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’articolo 168-bis del Tuir (c.d. white list) che, come noto, dovrà individuare i c.d. “Paesi o territori virtuosi”, ovvero gli Stati o territori “che consentono un adeguato scambio di informazioni e nei quali il livello di tassazione non è sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia” (cfr. articolo 168-bis, comma 2, del Tuir).
Come già chiarito nel paragrafo 2, in attesa dell’emanazione di tale decreto e fino alla sua entrata in vigore, la normativa CFC continua ad applicarsi con riferimento alla c.d. black list di cui al decreto ministeriale 21 novembre 2001, che individua gli Stati o territori a regime fiscale privilegiato: conseguentemente le disposizioni del comma 8-bis in commento andranno, sino all’entrata in vigore della nuova white list, riferite agli Stati o territori non inclusi della predetta black list.
L’estensione a tali Paesi della disciplina CFC, tuttavia, opera solo ai fini dell’applicazione dell’articolo 167 del Tuir: l’estensione, infatti, delle disposizioni del comma 8-bis in commento alle società collegate estere è espressamente esclusa dall’articolo 168, comma 1, del Tuir, come modificato dall’articolo 13, comma 1, lettera d) del d.l. n. 78 del 2009.
Per espressa previsione del citato comma 8-bis, relativamente al rapporto di controllo rilevante ai fini dell’applicazione delle disposizioni in esame vale la stessa nozione accolta dal comma 1 per le società black list e, quindi, la nozione di controllo civilistico prevista dall’articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile.
La norma in commento si applica esclusivamente al ricorrere delle seguenti condizioni:
- la partecipata estera paga imposte nello Stato o territorio di insediamento per un importo pari a meno della metà (< 50 per cento) del carico impositivo cui sarebbe stata sottoposta qualora fiscalmente residente in Italia;
- i proventi della partecipata estera derivano per più della metà (> 50 per cento) da:
° gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie;
° cessione o concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica;
° prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l'ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari.
Le due condizioni devono verificarsi congiuntamente.
Con riferimento alla condizione sub b), si osserva che, nel presupposto dell’identica formulazione della disposizione in commento con quella di cui al comma 5-bis del medesimo articolo 167 del Tuir, vanno estese alla fattispecie in esame le considerazioni già svolte al paragrafo 3.1, con riferimento all’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione.
Pertanto, la disciplina CFC va estesa a tutte le controllate localizzate in Paesi o territori diversi da quelli indicati nella black list, che presentino le caratteristiche di cui al punto sub b), comprese le partecipate estere svolgenti attività bancaria, finanziaria e assicurativa.
Anche ai fini in esame, inoltre, per la verifica del superamento della soglia del 50 per cento, dovranno - in linea di principio – considerarsi tutti i proventi lordi conseguiti dalla CFC, ordinari e straordinari, risultanti dal bilancio o rendiconto della partecipata estera.
Resta inteso che qualora il contribuente ritenga di trovarsi in una fattispecie che, nonostante il superamento della “soglia” del 50 per cento, non lo pone nella situazione che la norma in esame intende perseguire (i.e. “costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale”), deve comunque presentare interpello, sottoponendo il suo caso alla valutazione dell’Agenzia delle entrate.

5.1. La condizione della “tassazione effettiva inferiore a più della metà” della corrispondente tassazione italiana
La norma in esame consente di applicare la CFC rule a contribuenti residenti che dalla costituzione all’estero di una propria controllata (indipendentemente dal territorio di insediamento) traggono un notevole risparmio fiscale, determinato da un’imposizione effettiva estera inferiore a più della metà di quella che la controllata avrebbe assolto qualora fosse stata residente in Italia.
L’applicazione della disciplina CFC a queste fattispecie (con la connessa imputazione reddituale per trasparenza) determina, ovviamente, un azzeramento di questo risparmio fiscale.
Ai fini della verifica della condizione prevista dalla lett. a) del comma 8-bis dell’articolo 167 del Tuir, si ritiene opportuno chiarire che, in considerazione della collocazione della CFC rule nel Tuir, il confronto tra la tassazione effettiva estera e quella “virtuale” interna vada condotto considerando esclusivamente le imposte sul reddito, da individuare facendo riferimento, qualora esistente, alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni vigente con lo Stato estero, ed escludendo in ogni caso l’IRAP.
In mancanza di una Convenzione tra l’Italia e lo Stato estero, vanno considerate, sul fronte interno, unicamente l’IRES e sue eventuali addizionali, mentre, sul fronte estero, le corrispondenti imposte sul reddito, a prescindere dall’ente riscossore (es. imposte sul reddito federali, statali, ecc.).
Per quanto riguarda, inoltre, la comparazione richiesta dalla norma in commento - coerentemente con quanto previsto nella relazione di accompagnamento all’articolo 13 del d. lgs. n. 78 del 2009 - si ritiene che:
- occorra fare riferimento, relativamente ad entrambi i termini del confronto, al “carico effettivo di imposizione (e non all’aliquota nominale di imposizione societaria) gravante sulla società estera”. A tal fine, pertanto, occorrerà considerate l’“effective tax rate”, ossia il rapporto tra l’imposta corrispondente al reddito imponibile e l’utile ante imposte;
- i due termini di raffronto debbano essere omogenei.
Si fa presente che, ai fini del confronto in esame, vanno prese in considerazione solo le imposte correnti e non anche le eventuali imposte anticipate e differite: quest’ultime, infatti, rilevano unicamente ai fini della corretta redazione del bilancio, in quanto, insieme alle imposte correnti, individuano il carico fiscale complessivo di competenza dell’esercizio. Non incidono, pertanto, sulle somme che la società deve effettivamente a titolo di imposte sul reddito per l’esercizio considerato. Eventuali effetti distorsivi sul confronto tra la tassazione “virtuale” domestica e quella effettiva estera, derivanti dalla mancata considerazione di rilevanti ammontari di imposte anticipate e/o differite, andranno valutati in sede di interpello.
Per quanto riguarda il tax rate estero, questo va determinato facendo riferimento innanzitutto ai dati risultanti dal bilancio di esercizio (o rendiconto) della società estera, redatto secondo le norme locali.
In caso di adesione della partecipata estera ad una forma di tassazione di gruppo prevista nello Stato estero di insediamento, si ritiene corretto dare rilevanza ai fini in esame solo alle imposte sul reddito di competenza della medesima controllata, singolarmente considerata (“stand alone”), ossia alle imposte sul reddito corrispondenti al suo reddito imponibile e non a quello della fiscal unit.
Al di fuori della particolare ipotesi sopra evidenziata, si deve trattare di imposte sul reddito effettivamente dovute nello Stato o territorio estero di localizzazione, che devono trovare evidenza nel bilancio (o rendiconto) di esercizio della società estera, nella relativa dichiarazione dei redditi presentata alle competenti autorità fiscali, nonché nelle connesse ricevute di versamento. Tali documenti probatori, peraltro, ove non immediatamente disponibili al momento della presentazione dell’eventuale istanza di interpello disapplicativo, potranno essere allegati successivamente anche a titolo di volontaria integrazione documentale.
Tenuto conto di quanto fino ad ora precisato circa la rilevanza ai fini in esame delle imposte corrispondenti al reddito imponibile (in linea di principio corrispondenti con le c.d. imposte correnti, evidenziate nel bilancio di esercizio), non è parimenti rilevante l’eventuale utilizzo in sede di versamento di crediti d’imposta per redditi prodotti all’estero riconosciuti dallo Stato di insediamento, nonché di ritenute d’acconto subite ad opera di sostituti d’imposta o altri soggetti locali.
Allo stesso modo, non sono considerati gli effetti sul calcolo del reddito imponibile e/o delle imposte corrispondenti di eventuali agevolazioni di carattere temporaneo o non strutturale, riconosciute alla generalità dei contribuenti dalla legislazione dello Stato estero.
Assumono, invece, rilevanza altre forme di riduzione di imposte spettanti al singolo contribuente diverse da quelle sopra citate come, ad esempio, quelle accordate in base ad un apposito ruling concluso da quest’ultimo con l’Amministrazione fiscale estera.
Inoltre, in considerazione della finalità antielusiva della disposizione in commento dapprima illustrata, ai fini della determinazione dell’effective tax rate estero, si ritiene corretto tener conto di eventuali agevolazioni riconosciute dallo Stato o territorio di insediamento ai soci della partecipata estera e, quindi, in primis al socio “controllante” residente in Italia (sottoforma, ad esempio, di accreditamento al socio di tutta o parte dell’imposta estera prelevata in capo alla società partecipata). Ciò anche nel caso in cui si tratti di meccanismi di tax refund che la normativa locale prevede su base generalizzata, a prescindere dalla residenza del socio percettore.
In simili circostanze, infatti, la tassazione effettiva degli utili societari non può non essere valutata considerando congiuntamente il binomio socio – società, ovvero la posizione fiscale della società estera che li ha prodotti e quella del socio percettore.
In sede di prima applicazione della disciplina in esame, per ragioni di semplificazione e omogeneità dei termini di confronto, si ritiene opportuno – sempre ai fini della determinazione dell’effective tax rate estero – non considerare le perdite fiscali “estere” maturate antecedentemente all’entrata in vigore della “nuova” disciplina CFC (c.d. sterilizzazione delle perdite pregresse). A regime, avranno rilevanza quelle maturate dal primo periodo di applicazione della “nuove” disposizioni, cioè per i contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, a decorrere dal 2010.
Ciò ovviamente nel presupposto che a tale data il contribuente residente abbia il controllo della società estera.
Al di fuori di tale fattispecie, rilevano le perdite maturate dalla partecipata estera a decorrere dal periodo d’imposta in cui il contribuente italiano acquista il controllo della medesima società. Pertanto, se il requisito del controllo sussiste dal 2014, ai fini in esame, vanno considerate solo le perdite maturate dalla partecipata estera a decorrere da tale periodo d’imposta.

Tabella 2


2010 (A)


2010 (B)


2011


2012


Utile ante imposte (1) 1.000


Utile ante imposte


1.000


Utile ante imposte


900


Utile ante imposte


1.300


Perdite pregresse


2.500


Perdite pregresse


2.500


Predite pregresse


800


Perdite pregresse


1.800


Reddito di periodo 1.200


Reddito di periodo


- 800


Reddito di periodo


- 1.000


Reddito di periodo


2.400


Reddito imponibile nello Stato estero


0


Reddito imponibile nello Stato estero


0


Reddito imponibile


nello Stato estero


0


Reddito imponibile


nello Stato estero


600


Tax rate estero (2)


12%


Tax rate estero


0


Tax rate estero


0


Tax rate estero


4,62%




(1) Utile ante imposte risultante dal bilancio dell’esercizio 2010 della controllata estera;
(2) Aliquota nominale dell’imposta sul reddito estera assunta pari al 10 per cento.

Ciò comporta che, con riferimento all’esempio della Tabella 2, sopra riportata, ai fini in esame, il reddito imponibile della controllata estera relativo al periodo d’imposta 2010 va considerato pari a 1.200, posta l’irrilevanza – per le ragioni prima illustrate – dell’utilizzo in compensazione delle perdite fiscali pregresse. L’effective tax rate estero del periodo d’imposta 2010, quindi, non va considerato pari a 0, ma pari al 12 per cento, in quanto rideterminato con riferimento ad un reddito imponibile di 1.200.
Analoghe conseguenze nel caso in cui la medesima controllata estera consegua, nel periodo d’imposta 2010, una perdita fiscale di 800 (ipotesi B): ai fini del calcolo del tax rate estero relativo ai periodi d’imposta successivi, assumono rilevanza solo le perdite fiscali realizzate a partire da tale periodo d’imposta, anche se trasferite alla fiscal unit. In altri termini, sempre con riferimento all’esempio della Tabella 2, il reddito imponibile realizzato nel periodo d’imposta 2012 dalla controllata estera può essere compen