Sanatoria colf-badanti: quando l'ingresso o la permanenza illegale sono ostativi?
Il reato di immigrazione clandestina, di cui all’articolo 14, comma 5 ter, prima parte, del D.lg. n. 285/98, impedisce l'accesso alla procedura di emersione del lavoro irregolare prevista dalla Legge n. 102/2009.
Ci si chiede se la condanna inflitta per il reato di cui all'articolo 14, comma 5-ter, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 ("violazione dell'ordine di allontanamento del questore"), impedisca l'accoglimento della domanda di emersione, prevista dalla legge 3 agosto 2009 n. 102.
Occorre precisare che non tutti i reati sono ostativi alla procedura di emersione, ma solo quelli previsti dagli articoli 380 e 381 del Codice di procedura penale, in base all'articolo 1-ter, comma 13, lettera c) [1] , della Legge n. 102/2009.
Tali articoli 380 e 381, a loro volta, non prevedono specificamente il reato in questione.
Essi, tuttavia, contengono una clausola generale, che fa riferimento (tra l'altro) a tutti quei reati puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a venti anni (articolo 380 - arresto obbligatorio in flagranza) ed a quelli puniti con la reclusione superiore nel massimo a tre anni (articolo 381 - arresto facoltativo in flagranza).
Ciò premesso, è necessario verificare la pena prevista dall'articolo 14, comma 5-ter per appurare se tale reato rientri effettivamente nella clausola generale di cui agli articoli 380 e 381 Codice di procedura penale ed impedisca, quindi, l'emersione.
L'articolo 14, comma 5-ter, in verità, prevede diverse fattispecie di reato, a seconda del motivo per cui fu disposta l'espulsione:
Orbene, è evidente che la prima figura di reato rientra nell'ambito dell'articolo 381 Codice di procedura penale, essendo essa punita con una pena fino a quattro anni di reclusione.
Non vi rientra, invece, la seconda fattispecie di reato, punita con la reclusione fino ad un anno.
Sul punto è intervenuto il Ministero dell'Interno, con la circolare interpretativa del 17 marzo 2010, ove è stato precisato quanto sopra esposto.
Anche la giurisprudenza è orientata in tal senso.
In particolare, il Consiglio di Stato si è pronunciato recentemente sul ricorso proposto da una cittadina marocchina, presente in Italia senza permesso di soggiorno, svolgente attività lavorativa non dichiarata, per l'annullamento del provvedimento di rigetto dell'istanza di emersione dal lavoro irregolare emesso dallo Sportello Unico per l'immigrazione presso la Prefettura di Perugia (Consiglio di Stato, sentenza del 29 settembre 2010, n. 7209).
La Prefettura aveva respinto la domanda di sanatoria in quanto la lavoratrice straniera risultava aver riportato una condanna penale per il reato di cui all'articolo 14, comma 5 ter, prima parte, del D.lg. n. 285/98, poichè, senza giustificato motivo, si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal Questore.
I Giudici hanno affermato che il reato in questione sia ostativo al rilascio del permesso di soggiorno, proprio perchè è prevista la pena della reclusione fino a quattro anni.
Afferma il Consiglio di Stato " il citato articolo 1 ter, comma 13, del Decreto legge n. 78/2009 (convertito in legge n. 102/2009) esprime un principio di carattere generale in virtù del quale non possono beneficiare della procedura di emersione coloro che abbiano subito condanne riconducibili, tra le altre, a quelle di cui al ripetuto articolo 381 Codice di procedura penale e, quindi, in assenza di specifiche indicazioni di segno opposto, condanne per reati per i quali il legislatore, ancorché in forza di norme incriminatrici speciali, abbia previsto una misura edittale superiore, nel massimo, a tre anni.
E poiché, come detto, per il reato di cui all ' articolo 14, comma 5 ter, del Decreto legg e n. 78/2009, convertito in legge n. 102/2009, la pena massima è fissata in anni quattro, non può dubitarsi del fatto che, ai sensi dell ' articolo 1 ter, comma 13, dello stesso Decreto legge n. 78/2009, l ' interessata non poteva accedere alla sanatoria in questione ".
Note